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Isola di calore urbana e rilevazione dei dati - Prima parte   Inserito il› 19/10/2008 17.29.01
Aggiornato il› 19/10/2008 17.29.01
Non è facile individuare qual è la collocazione ottimale di una stazione meteo in area urbana: all’argomento è dedicato un lungo capitolo nelle norme internazionali del World Meteorological Organization (vedere il link nella bibliografia pubblicata al termine della seconda parte di questo articolo), ma è lo stesso organismo unificatore che precisa (capitolo 11.1):

“I servizi meteorologici hanno difficoltà nel raccogliere osservazioni in ambito urbano che non risultino seriamente compromesse. Ciò in quanto la maggior parte dei luoghi urbanizzati rendono impossibile adeguarsi ali standard generali dettati per la scelta del sito e l’esposizione degli strumenti, a causa degli ostacoli al regolare flusso dell’aria ed allo scambio radiativo da parte di edifici ed alberi e di superfici artificiali, all’immissione di calore e vapor acqueo nell’aria come scarti delle attività umane. (…) Per essere certi di ottenere osservazioni significative, è necessario prestare molta attenzione ad alcuni principi e concetti che sono specifici delle aree urbane. Occorre poi che questi principi e concetti vengano applicati in modo intelligente e flessibile, che tenga conto della realtà dello specifico ambiente in cui ci si trova. Regole rigide hanno scarsa utilità”.


L’isola di calore

Per capire le caratteristiche dell’ambiente urbano, osserviamo innanzitutto quali sono le caratteristiche della cosiddetta “isola di calore”.

Dai dati riportati dalle nostre stazioni (vedremo in seguito qual’è la loro collocazione ottimale), si può osservare innanzitutto che il fenomeno, nel campo termico, è tipico delle ore notturne.

Dai resoconti mensili della rete CML si nota un’evidente differenza tra città e campagna nella media delle temperature minime, mentre la cartina delle medie massime non presenta significative irregolarità in corrispondenza dei centri urbani.


Estratti dalle cartine climatologiche CML relative al trimestre marzo-maggio 2008.
A sinistra: media delle temperature minime; a destra: media delle temperature massime. Dati esclusivi della rete CML.

Diciamo subito che gli studi sul clima urbano affrontati con criteri moderni risalgono agli anni ‘60 del secolo scorso: pietra miliare sono le ricerche di Tony Chandler sul clima di Londra, di cui riportiamo una illustrazione relativa all’isola di calore rilevata nella notte dell’ 11 giugno 1959.

Temperature minime dell’11 giugno 1959 nell’area urbana di Londra.
(T.J.Chandler, “The climate of London”, Hutchinson, 1965)


La struttura dell’isola di calore si ritrova molto chiaramente nelle osservazioni delle nostre stazioni dell’area milanese (puntini rossi nella figura): qui vediamo il possibile andamento delle isoterme all’alba del 5 ottobre 2008, sovrapposto al tessuto urbano (che appare di colore violetto nell’immagine). Per opportuno riscontro, il dato di Milano Brera (rete ARPA), indicato con il puntino blu al centro della città, coincide con quello di Milano Sempione CML (9,9°C).
 

Temperature minime del 5 ottobre 2008 nell’area urbana di Milano: stima basata sulle osservazioni della rete CML.

Se ora confrontiamo l’andamento termometrico nell’arco delle 24 ore tra una stazione urbana ed una della vicina area rurale, come nel caso delle nostre Milano Arbe e Linate tra il 28 e il 29 settembre 2008, possiamo osservare un comportamento tipico:
 

Andamento termico nelle 24 ore rilevato dalle stazioni CML di Milano Arbe e Linate Paese.


Le temperature sono pressoché uguali nelle ore mattutine; nelle ore più calde si possono creare modeste differenze (spesso l’area urbana si riscalda di meno, soprattutto nel semestre caldo, per la maggior presenza di ombre proiettate); ma appena il sole tramonta, l’inerzia termica della città consente solo una lenta e costante discesa, mentre la campagna perde rapidamente calore raggiungendo nelle prime ore della sera la massima differenza con la città (nel nostro caso, oltre 6 gradi intorno alla mezzanotte). Nel grafico che stiamo osservando, una temporanea copertura del cielo interrompe bruscamente il raffreddamento: la temperatura in campagna risale di quasi 4 gradi, mentre in città si avverte solo un rallentamento della discesa. Ritornato, dopo circa due ore, il sereno, il trend riprende come prima: rapido raffreddamento in campagna, discesa costante in città. All’approssimarsi dell’alba, il raffreddamento rallenta anche fuori città, e quando si registra la temperatura minima la differenza spesso non è così accentuata come nelle ore serali: nel nostro caso, circa 4 gradi contro i 6,5 della mezzanotte.Sorto il sole, il riscaldamento delle superfici è rapido ed entro le 10 le temperature sono di nuovo uguali.

Questa esperienza – tipica in ogni realtà urbana – dimostra che il contributo più rilevante alla formazione dell’isola di calore urbana è dato dal mancato raffreddamento delle superfici orizzontali per irraggiamento notturno, quindi dalla natura dei materiali che costituiscono la copertura del suolo.

Vi è anche un contributo dovuto al calore emesso dal riscaldamento artificiale degli edifici (in inverno) e dalla combustione dei motori, ma gli studi dimostrano che la loro incidenza, pur non trascurabile, è molto limitata rispetto al fenomeno dell’irraggiamento. Le differenze infatti diminuiscono fin quasi ad annullarsi quando vi è copertura nuvolosa (che riflette verso il basso le radiazioni emesse dal suolo), o venti sostenuti che rimescolano gli strati d’aria prossimi al suolo, o precipitazioni in atto. Va da sé, che se i fenomeni suddetti intervengono quando l’isola di calore si è già formata, la sua influenza continua a persistere fino all’avvenuta omogeneizzazione dell’aria: così una nevicata che “sfrutti” il cuscinetto freddo prodottosi in campagna per irraggiamento potrà trovare la città sensibilmente più calda, e tramutarsi qui in pioggia; col passar delle ore, la campagna perderà la sua prerogativa di freddo dovuto al precedente irraggiamento, mentre la città viceversa potrà essere raffreddata dalla stessa precipitazione: finché, a seconda della temperatura “finale” dell’aria, pioverà o nevicherà ugualmente in città e fuori.

Un’altra deduzione utile da fare – sempre al fine di capire qual è il miglior modo di rilevare le temperature in area urbana – è questa: la presenza della città, nelle ore notturne, sottrae di fatto una porzione di territorio all’inversione termica nei basi strati.

Se leggiamo il radiosondaggio di Milano Linate effettuato la mattina del 29 settembre alle 06Z (ore 8 locali), vediamo che la temperatura al suolo è di 10,4 gradi; a quota 165 (cioè a circa 60 metri dalla superficie) sale a 11,8; a quota 352 (circa 250 metri dalla superficie) raggiunge il massimo di 13,6: questo è il limite dell’inversione termica in quel momento.

Stralcio dal report testuale del radiosondaggio di Milano Linate alle ore 06Z del 29 settembre 2008.


Alla stessa ora, la stazione di Milano Arbe (valori analoghi sono osservati nelle altre stazioni urbane di Milano) registra una temperatura fra i 12 e i 13 gradi; il nostro riferimento “rurale”, Linate CML, sta salendo dagli 8 di minima verso i 10 (è difficile individuare il momento esatto in cui è stato lanciato il pallone-sonda per un confronto preciso).

Ne possiamo dedurre che in città la temperatura è di poco superiore a quella rilevabile al limite dell’inversione: questo significa esattamente che nell’area urbana è mancato l’effetto irraggiamento notturno e quindi non vi è inversione termica almeno negli strati più bassi.

A riprova di ciò, quando le temperature all’interno dello strato di inversione sono tali da favorire la formazione della nebbia, questa si arresta alle soglie della città, dove non può formarsi; il cielo qui potrà risultare sereno, se il limite dell’inversione è abbastanza basso, mentre se l’inversione continua per parecchie centinaia di metri, questa si ripresenterà al di sopra della “cupola” di aria sovrastante la città e vedremo dal basso degli strati nuvolosi. Quando la nebbia si spinge dentro la città, ciò avviene solitamente per “avvezione”: lievi spostamenti d’aria, innescati anche dalla stessa differenza termica tra città e campagna (lo stesso meccanismo delle brezze marine), trasportano il banco di nebbia tra le case, ma certamente non è lì che si è formato.

Nel caso in esame, della mattina del 29 settembre, il probabile andamento delle isoterme con l’altezza è quello rappresentato in figura:


Sezione-tipo dell’aria intorno all’alba, al confine con il tessuto urbano; ricostruzione in base alle osservazioni
del 29 settembre 2008 nell’area di Milano.


La teoria degli strati: canopy layer e boundary layer

Le ricerche sul clima urbano, e anche le istruzioni contenute nella guida del WMO, fanno riferimento ad uno schema della struttura dell’atmosfera suddiviso in “layers”. Per semplificare al massimo il concetto, diremo che al di sopra della città, lo strato d’aria entro il quale si può considerare vi sia un’influenza da parte della superficie urbana sul flusso e sulle caratteristiche dell’atmosfera, è definito come “boundary layer” (strato limite urbano). Questo delimita una “cupola”, che può risultare deformata nel senso delle correnti aeree (spingendosi sottovento verso la campagna). Nel nostro esempio, potrebbe coincidere con il limite che delinea la mancata presenza dell’inversione termica al suolo.

All’interno del boundary layer, viene individuato, a partire dal suolo, uno strato che delimita la “volta urbana” (urban canopy layer): stendendo un ideale lenzuolo sui tetti delle case, il “canopy layer” è quello che rimane al di sotto, ed è caratterizzato dalla “rugosità” (alternanza di spazi - le strade e le piazze - e di ostacoli - le costruzioni -: è uno strato analogo a quello che si crea sotto gli alberi di una foresta).

Al livello dei tetti, si hanno delle condizioni ibride, tra i microclimi indotti dalle caratteristiche dei tetti stessi, e l’influenza del “canopy layer”, ovvero del microclima presente nelle strade e nelle piazze sottostanti. Si individua poi un ulteriore livello, che è delimitato dalla quota alla quale il mix di questi ultimi “microclimi” è completato: questo strato (“roughness sublayer”) ha uno spessore variabile, che dipende dalla “rugosità” della superficie sottostante, ossia dalle caratteristiche urbane (rapporto tra vuoti e pieni, altezza degli edifici,larghezza delle strade, ecc): il limite del “roughness sublayer” in caso di urbanizzazione compatta è stimabile in una volta e mezza il “canopy layer”, ma può arrivare a quattro volte il “canopy” in aree molto irregolari e aperte.

Lo strato superiore del “boundary layer” è denominato “inertial sublayer”.


Isola di calore urbana e rilevazione dei dati - Seconda parte


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