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Isola di calore urbana e rilevazione dei dati - Seconda parte   Inserito il› 17/10/2008 0.01.01
Aggiornato il› 19/10/2008 17.28.04
Il posizionamento dei sensori
 

Senza addentrarsi in ulteriori spiegazioni, diremo che secondo il WMO la corretta collocazione del sensore (parliamo principalmente del termometro o del termoigrometro), per la rappresentazione di condizioni microclimatiche, dovrebbe essere all’interno del “canopy layer”, purchè siano evitati i rischi di irraggiamento da parte di pareti verticali, e ci sia sufficiente ricambio d’aria. In alternativa, il sensore andrebbe posto al di sopra del “roughness sublayer”, (cioè nell’”inertial sublayer”), ad esempio su una torre o un traliccio, ad almeno una volta e mezzo l’altezza media dei tetti, dove il rimescolamento dei vari microclimi sottostanti si è completato. In questo caso rileverà un microclima di scala diversa (più “mediata”) rispetto ai microclimi locali sottostanti. E’ invece, in linea di massima, sconsigliata la rilevazione alla quota dei tetti.

 

Possibilità di posizionamento di un sensore termometrico in area urbana: A) ad altezza standard dal suolo, lontano da ostacoli; B) all’altezza dei tetti; C) al di sopra dello strato di rimescolamento.

 

Va detto però che questo tipo di schematizzazione, valido per tutto il mondo, risente molto di un’impostazione “anglosassone” dell’urbanistica; le nostre città in genere sono molto compatte e, come vedremo, hanno un “canopy layer” spesso inutilizzabile per effettuare corrette rilevazioni.

Perché il WMO richiede cautela nel posizionamento o nella validazione di letture fatte sopra i tetti urbani?

Le motivazioni sono soprattutto due: i materiali dei tetti hanno caratteristiche del tutto particolari, e spesso un’eccessiva propensione a surriscaldarsi sotto il sole perdendo calore rapidamente di notte; sono inoltre fatti per allontanare immediatamente le acque di pioggia e quindi costituiscono un ambiente notevolmente più secco rispetto al suolo. Inoltre, il livello dei tetti è un “confine”, come si è detto prima, tra i microclimi sottostanti e quello soprastante i tetti stessi, e non può quindi considerarsi omogeneo.

 

Due esempi di coperture non idonee al posizionamento di un rilevatore termometrico. A sinistra, una moltitudine di falde in laterizio irradia calore in tutte le direzioni: il sensore dovrebbe essere posto molto in alto rispetto al colmo del tetto; a destra, una copertura in lamiera si surriscalda facilmente e perde calore altrettanto rapidamente: nel caso illustrato, essendoci ampi spazi aperti intorno all’edificio, il sensore andrà posto senz’altro alla quota “standard” rispetto al suolo.

 

Nelle nostre realtà urbane dobbiamo però notare che le sezioni stradali consentono raramente di posizionare un sensore in modo che non sia influenzato dalle superfici verticali.

Dalla figura, relativa ad una porzione del centro di Milano, si osserva che in teoria i tetti occupano una superficie proporzionalmente inferiore a quella occupata dalle strade e dalle piazze.
 
 
La stessa porzione di tessuto urbano (Milano, via Vincenzo Monti / via Mario Pagano) vista attraverso un’ortofotografia e una rappresentazione cartografica che evidenzia in nero gli edifici.

 

Forzando l’immagine sulle ombre, si vede però che i “vuoti” interclusi - in particolare i cortili, e tutte le strade con un determinato orientamento – sono ombreggiate, contravvenendo ad uno dei principi generali relativo al posizionamento dei sensori, che siano il più possibile esposti al sole ed al libero flusso dell’aria.

 

La stessa porzione di tessuto urbano con evidenza delle parti in ombra
(orario presumibile l'una del pomeriggio, ora solare).

 

Mettendo in evidenza le superfici con colori diversi, si può invece osservare, indicativamente, quanto sia il contributo dei tetti in laterizio (colore rossastro) e, viceversa, quanti degli spazi apparentemente “aperti” siano invece occupati da alberature (colore verde):

 
 

La stessa porzione di tessuto urbano con evidenza delle coperture in laterizio (sopra) e delle alberature (sotto).

 

Tracciando una sezione tipica della stessa area urbana, schematizzata nella figura, si osserva come i cortili e le strade hanno una sezione tale da impedire il regolare scambio termico tra la superficie orizzontale e la volta celeste: a seconda delle ore del giorno si creeranno microclimi estremamente “specializzati”, con sacche di aria non riscaldata dal sole e zone surriscaldate dall’energia riflessa tra le pareti verticali; nelle ore notturne, l’energia emessa dalla superficie della strada anziché disperdersi verso l’alto (frecce azzurre) si rifletterà più volte lungo le pareti degli edifici (frecce rosse), tanto più quanto maggiore sarà la profondità della strada rispetto alla sua larghezza:

 

Sezione schematica della porzione di tessuto vista nelle immagini precedenti:
i rapporti fra altezze e lunghezze sono rispettati.

 

La posizione ottimale del sensore, secondo il WMO, sarà allora in uno spazio aperto (come una piazza, o il cortile di una scuola, ma non di un condominio stretto fra altri condomini): purché le superfici circostanti siano quelle “tipiche” dell’area urbana, ossia pavimentate come lo è mediamente il quartiere che stiamo monitorando. In parole povere, se mettiamo il sensore sul prato di un giardinetto non avremo più l’osservazione del microclima urbano ma di quell’ulteriore particolare microclima creato da un’enclave verde all’interno della città.

Ma il manuale WMO ci fa osservare un’altra cosa (capitolo 11.3.2.1):
 
“Nelle stazioni non-urbane l’altezza raccomandata per lo schermo è tra 1,25 e 2 metri sopra il livello del suolo. Questo è certamente accettabile anche per siti urbani, ma in certi casi può essere più opportuno allontanarsi da questa regola, consentendo altezze maggiori. Nella maggior parte dei casi, questo non comporterà errori significativi, specialmente nelle aree densamente edificate, in quanto osservazioni effettuate nei “canyons” (costituiti dalle strade con sezione ristretta rispetto all’altezza degli edifici) mostrano gradienti di temperatura debolissimi (“very slight”) attraverso la maggior parte del “canopy layer”, purché il sensore sia posto ad oltre un metro da qualunque superficie.(…) Allontanarsi dalla superficie della strada assicura per di più una maggiore diluizione del calore derivante dagli scarichi veicolari”.
 

L’informazione più importante è quella che all’intero dei “canyon” stradali la temperatura può ritenersi costante. Ciò significa che, in ambito urbano, alla quota dei tetti o al suolo non vi possono essere differenze apprezzabili, purché si tenga conto delle caratteristiche termiche della superficie del tetto. L’immagine che segue riassume lo schema sopra descritto.

 

Lo schema dei “layers” urbani sovrapposto ad una veduta panoramica di Milano
(immagine di sfondo tratta da: www.orizzontintorno.com).

 

Nell’impossibilità di posizionarsi alla quota standard (1,25 – 2,00 metri) dal livello del suolo in uno spazio sufficientemente distante da superfici riflettenti, possiamo dedurne che lungo tutta l’altezza del “canopy layer” è ammissibile collocare il sensore purché sia distante dalla superficie verticale (oltre un metro, quindi teoricamente anche all’esterno di un balcone: l’esperienza ci suggerisce tuttavia che la distanza dovrebbe essere almeno di 2 metri); e aggiungiamo anche che al livello del tetto le rilevazioni saranno attendibili purché si abbia cura di eludere gli effetti dell’irraggiamento diretto da superfici con particolari caratteristiche termiche.

 

Schema di una strada di Milano (via Telesio, la prima traversa a sinistra nelle piante viste sopra)
con l’indicazione delle aree inadatte al posizionamento di un sensore termometrico.

 

All’atto pratico, si può suggerire ad esempio: l’estensione del sensore dal terrazzo verso l’esterno dell’edificio (in modo da non “vedere” la superficie del terrazzo); il posizionamento su un traliccio abbastanza alto da essere certi (con verifiche sperimentali) che non subisce l’influenza della superficie sottostante; la preparazione di una superficie con caratteristiche “attenuanti” l’eventuale effetto dei materiali originali della copertura (ad esempio, applicando una superficie isolante intorno alla base della stazione, o una porzione di prato artificiale). D’altra parte non si può escludere che i nostri tetti abbiano, in alcuni casi, conformazione geometrica e materiali superficiali coerenti con le caratteristiche presenti al livello del suolo, e pertanto non influenzino le rilevazioni in modo significativo. Ricordiamo soprattutto che, nell’area urbana, non vi è significativa variazione di temperatura tra il suolo e la quota dei tetti.

E’ chiaro che, in aree molto aperte, con caratteristiche “rurali” del suolo, dove la perdita di calore per irraggiamento notturno è significativa, la temperatura rilevata in quota su un edificio isolato sarà molto diversa, segnalando il gradiente termico dovuto all’inversione.

Si raccomanda infine di tener conto di ogni possibile ulteriore influenza locale: si eviterà, ad esempio, di posizionare il sensore alla sommità di una facciata particolarmente esposta al sole, che potrà generare una colonna ascendente di aria surriscaldata, come schematizzato nella figura seguente.

Aree soggette ad un possibile surriscaldamento dovuto a superfici particolarmente esposte al sole; il posizionamento del sensore dovrà avvenire – se non è disponibile un’esposizione diversa – alla maggior distanza possibile dalle superfici.

 
 

Nelle immagini che seguono, alcune stazioni di tipo urbano presenti nelle varie reti meteorologiche amatoriali online su Internet.

 

Capoterra (www.sardegnaclima.it) e Cattolica (www.meteocattolica.eu): collocate su tetti in laterizio, suggeriscono qualche cautela per il possibile riverbero; sarebbe indicata una loro maggiore distanza dalla superficie. Facciamo notare comunque che si tratta di località molto ventilate, in cui è favorito il rimescolamento dell’aria specie in presenza del soleggiamento.

 

Roma Ciampino e Roma Prenestino (www.associazionebernacca.com): posizionate su terrazze, occupano entrambe un angolo esterno, sottraendosi così il più possibile all’influenza della pavimentazione.

 

Treviso (www.astrofilitrevigiani.it) e Barzio (rete CML): appoggiate alla recinzione di un terrazzo, cercano di essere il più possibile estranee alla rispettiva superficie; si noti però che per Treviso la balaustra in pietra può surriscaldarsi e interferire con il sensore ancora troppo vicino; Barzio, al contrario, ha invece una striscia erbosa al piede dell’asta, che attenua ulteriormente l’eventuale influenza del pavimento.

 

 

 

Pont Saint Martin (www.meteonetwork.it): è corretto il posizionamento del sensore su un’asta che dovrebbe allontanarlo dalla linea di gronda, sottraendosi all’influenza delle superfici artificiali; la sporgenza tuttavia dovrebbe essere totalmente verso l’esterno, mentre è inutile se si sviluppa parallelamente all’altra grondaia.

 
 
Le altre osservazioni
 

Le raccomandazioni del WMO si estendono anche agli altri tipi di osservazioni che, in area urbana, necessitano di modalità particolari.

E’ superfluo segnalare che il vento va rilevato al di sopra del “roughness sublayer”.

Difficile invece valutare la correttezza dei pluviometri. Le turbolenze generate dalla presenza degli edifici e la maggiore intensità del vento in quota, determinano sicuramente una sottostima del quantitativo di pioggia caduta, tanto maggiore quanto più piccola è la superficie dell’imbuto. E’ lo stesso problema che si verifica in aree rurali molto esposte e, ancor di più, in alta montagna. Si raccomanda pertanto di collocare il pluviometro in una posizione che sia riparata dalle raffiche di vento e dalle turbolenze, preferibilmente in prossimità del suolo, e che contemporaneamente non sia “occultato” da pareti verticali troppo vicine o da alberi o altri ostacoli.

In subordine, se posizionato in quota in abbinamento con l’anemometro, andrebbe calcolato un fattore di correzione in funzione dell’intensità del vento.

 
 
Conclusione
 
In conclusione, il rilevamento ottimale della temperatura andrebbe fatto alla quota “standard” rispetto al livello del suolo, ma ad una distanza adeguata dalle pareti degli edifici; tuttavia, laddove questo non sia possibile, osservando che le nostre stazioni urbane rilevano valori termici molto coerenti fra loro, possiamo affermare che se il sensore è posizionato con attenzione rispetto alle superfici irradianti, ed è correttamente schermato, non vi è motivo di ritenere falsate le temperature rilevate in quota rispetto a quelle che potrebbero essere rilevate al suolo in ambito urbano (mentre in ambito rurale è necessario che l’osservazione sia presa alla quota standard di 1,25 – 2,00 metri). Nei casi dubbi, il responsabile della stazione potrà effettuare delle verifiche sperimentali anche attraverso rilevazioni fatte a livello della strada, e mettendo in opera, in caso di forti discrepanze, gli accorgimenti più opportuni per evitare l’influenza delle superfici irradianti. 
 

Nota bibliografica

 

La maggior parte delle informazioni sull’argomento sono reperibili sul citato volume:

WMO – N.8 – Guide to Meteorological Instruments and Methods of Observation, 7th ed.

(www.wmo.int/pages/prog/www/IMOP/publications/CIMO-Guide/CIMO_Guide-7th_Edition-2006.html)

 

Approfondimenti si trovano anche in:

IAUC Teaching Resources – The Urban Canopy Layer Heat Island

(www.epa.gov/heatisland/resources/pdf/HeatIslandTeachingResource.pdf)

che rimanda a sua volta ad una ricca bibliografia anche cartacea.

 

Una ricerca interessante anche se limitata è scaricabile dal sito:

www.micrometeo.it/research.htm

 

Il numero 13-14 della rivista Nimbus, pubblicato nel 1998, è stato dedicato all’argomento della meteorologia urbana: informazioni sono reperibili sul sito www.nimbus.it

La serie più ricca di pubblicazioni scientifiche sul clima urbano è stata pubblicata da T.R. Oke,: alcune di queste sono richiamate in bibliografia nei testi sopra citati, altre sono reperibili con una semplice ricerca in rete. Lo stesso autore ha anche pubblicato un testo più divulgativo sull’argomento, tuttora reperibile anche online:

T.R. Oke, "Boundary Layer Climates", Routledge, 1987

 

 

 

Ricerche specifiche del sottoscritto sul clima urbano sono state pubblicate su Weather e su Rivista di Meteorologia Aeronautica, e contengono a loro volta repertori bibliografici a cui attingere per ulteriori approfondimenti. Ne riporto solo alcune:

B.Grillini,“A Comparison of air temperatures at street and roof level in London”, in “Weather” vol.36 n.4, 1981

B.G.,“Isola di calore diurna e topografia locale nella regione di Londra”, in “Rivista di Meteorologia Aeronautica” n. 4/1985

B.G.,“Milano, un’esperienza sul limite dell’isola di calore urbana”, in “Rivista di Meteorologia Aeronautica”n. 1/1987

 

Come anticipato nel testo, le basi della ricerca partono dal lavoro di T.J. Chandler: “The Climate of London”, Hutchinson, 1965.

 

 

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