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Le formazioni nuvolose in atmosfera stabile   Inserito il› 11/10/2009 20.06.47
 
 
 

LE NUBI STRATIFORMI

In un’atmosfera stabile ogni movimento convettivo  è inibito, per cui le formazioni nuvolose non possono svilupparsi in senso verticale. In condizioni di stabilità, spesso caratterizzate da inversioni termiche, le nubi si appiattiscono non potendo estendersi che orizzontalmente per formare banchi che spesso invadono vaste regioni.
Queste nubi stratiformi possono interessare vari livelli a partire dal limite superiore della troposfera fino al suolo e sono così suddivise:
 
- Regione superiore (da 12-13 a 6 km): cirri, cirrostrati e  cirrocumuli
- Regione media (da 6 a 0 km): altocumuli, altostrati e nembostrati
- Regione inferiore (da 3 km al suolo): stratocumuli, strati e nebbie
 
A seconda della quota di sviluppo della nube, questa è costituita da goccioline d’acqua (sopraffusa fino a -15°C) e/o da cristalli di ghiaccio. Le nubi “miste” di un certo spessore, nelle quali coesiste l’acqua allo stato liquido e solido, sono in grado più di tutte di sviluppare una efficace aggregazione delle particelle (processo di Bergeron-Findeisen) e quindi una precipitazione al suolo apprezzabile. E’ il caso ad esempio del nembostrato, la nube in aria stabile più spessa che si sviluppa generalmente tra le isosuperficie di 700-500 hPa.  Per questo motivo – in sede di previsione – è importante l’analisi accurata dei campi vento, umidità e moti verticale in media troposfera.

MECCANISMO DI SVILUPPO DELLE NUBI STRATIFORMI

Lo sviluppo di una nube stratificata è caratterizzato da uno scambio di calore con l’ambiente che la circonda (processo diabatico), a differenza di quanto avviene con la convezione. In genere la trasformazione energetica è in parte isobarica, cioè avviene senza l’espansione (ed il raffreddamento) della massa d’aria dovuto ad una rapida salita verso le quote più alte. Tutto questo non esclude comunque la presenza di deboli moti ascendenti, o meglio di vortici turbolenti in grado di diffondere il proprio vapore con gli strati circostanti accrescendo lo spessore dello strato nuvoloso.
La nuvolosità in aria stabile è conseguenza di un calo termico dovuto alla conduzione (contatto) o all’irraggiamento con superficie o strati d’aria più freddi. In questo modo la massa d’aria raggiunge il punto di saturazione condensando o sublimando il vapore acqueo in eccesso. In qualche caso non molto più raro l’immissione di una certa quantità di vapore (umidificazione) permette il raggiungimento dello stato di saturazione.

SOVRAPPOSIZIONE DI ARIA UMIDA SU UN PIANO PIU’ FREDDO

Le nubi stratificate annesse ad una perturbazione delle medie latitudini sono situate generalmente in prossimità della linea di scorrimento di un flusso caldo umido su un piano inclinato costituito da aria più fredda. L’intersezione di tale linea con il suolo prende il nome di fronte caldo. Lungo la superficie frontale il vento trasporta (avvezione) aria calda ed umida che si raffredda a contatto con l’aria più fredda sottostante condensando il proprio vapore. Il flusso umido risale il piano con una pendenza media dell’1%, un lento moto dinamico che permette alla nuvolosità di estendersi anche ai livelli più alti della troposfera. L'attrito del vento sul piano frontale determina una turbolenza meccanica in grado di rimescolare le masse d’aria ed ispessire lo strato nuvoloso. In questo modo è possibile un passaggio di stato diretto da vapore a ghiaccio (sublimazione) nella parte superiore del nembostrato e quindi una precipitazione significativa. La pioggia, nell’attraversare gli strati d’aria non saturi, può inizialmente evaporare. In questo modo in prossimità del suolo viene sottratto calore all’ambiente ed immesso vapore disponibile allo sviluppo di fractostrati e nebbie frontali. La formazione nuvolosa in un fronte caldo è prodotta da un complesso meccanismo di avvezione, scambio di calore per contatto ed umidificazione dei bassi strati. I moti ascendenti frontali e la turbolenza dinamica non danno inizio alla nuvolosità, ma ne amplificano l’estensione e lo spessore.

 
 
 

LOWER LEVEL JET E STRATI NUVOLOSI

La Lower Level Jet (LLJ) è una corrente sostenuta identificabile nella bassa troposfera, ovvero tra le superficie di 925 e 700 hPa. L’accelerazione del vento sottrae massa (divergenza) che a sua volta viene colmata dal contributo degli strati circostanti. In questo modo si creano contemporaneamente una convergenza del vento al suolo e quindi un moto ascendente ed un movimento discendente stabilizzante dalla media troposfera verso la LLJ. Se la massa d’aria presente nei bassi strati è sufficientemente umida, nel salire, questa condenserà appiattendosi orizzontalmente:  le condizioni di stabilità sovrastanti non consentono infatti alcun moto convettivo. In questo modo si forma una stratificazione nuvolosa schiacciata al di sotto dell’inversione termica. Ancora una volta l’azione di rimescolamento della massa d’aria ad opera della turbolenza può ispessire discretamente la nuvolosità conferendole un aspetto cumuliforme appiattito (stratocumuli) piuttosto che una distesa amorfa (strati) dai quali talvolta cade una pioviggine. Questo meccanismo spiega la formazione dei tappeti di nubi basse che caratterizzano l’ingresso del vento da Est sulla Pianura Padana durante il semestre freddo.
 
 
 
 
 

NEBBIE E STRATI BASSI

La tipologia di nebbia più vistosa che si forma sulla  Pianura Padana o in un ampio fondovalle avviene grazie all’irraggiamento notturno del terreno in condizioni di cielo sereno e calma di vento. Questo comporta un raffreddamento degli strati più vicini al suolo fino a raggiungere il punto di rugiada e quindi la formazione della nebbia che è non è nient’altro che una nube stratiforme. Ovviamente perché questo avvenga è necessaria una discreta quantità di vapore accumulatosi nei bassi strati su un terreno inumidito dalle piogge o nelle vicinanze di un corso d’acqua. In assenza totale di vento la nebbia è sottile, ma con l’arrivo di una brezza debole inizia un rimescolamento della coltre nuvolosa e quindi un suo ispessimento.  Il top dello strato corrisponde al limite superiore dell’inversione termica caratterizzata da una base al suolo che inizia ad erodersi con il riscaldamento radiativo del sole durante la mattinata. Se l’energia solare è sufficientemente energica la nebbia si dissolve. Se invece il sole non riesce a riscaldare in modo apprezzabile il suolo la nebbia può diradarsi parzialmente e sollevarsi in uno strato nuvoloso basso, un fenomeno amplificato dal rinforzo delle brezze diurne. L’inversione termica si sposta in questo caso in quota e può essere a sua volta erosa alla base dall’irraggiamento solare fino a dissipare la “nebbia alta” in una densa foschia.

 
 
  
 
Il ruolo della brezza nel sollevamento di uno strato si esprime nei moti turbolenti di natura di meccanica dovuti alla resistenza delle asperità del suolo al vento. I vortici ad asse orizzontale riescono a spingere per qualche centinaio di metri verso l’alto le particelle d’aria già molto umide fino a raggiungere la temperatura di rugiada. A questo punto inizia la cessione di calore latente fino alla completa condensazione del vapore acqueo, poi la particella ricade raffreddandosi adiabaticamente. Il ciclo si ripete più volte con il risultato di un riscaldamento dello strato superiore della nube e quindi un’inversione termica. Lo strato può continuare a rigenerarsi fino a quando la brezza non cala di intensità.
 
 
  
 
La formazione delle nebbie marittime – come accade sulle coste dell’Adriatico - necessita invece la presenza del vento, che trasporta aria umida marittima sull’entroterra  più freddo. Si tratta di una nebbia da avvezione che origina grazie ad uno scambio di calore per conduzione. In senso più lato possiamo intendere anche il trasporto dello strato nebbioso dalla pianura – dove si era formata per irraggiamento – verso un declivio dolce. In questo caso la nebbia si solleva in strati nuvolosi e raggiunge il suolo delle alture riducendone la visibilità. E’ il caso, questo, delle nebbie che in Lombardia risalgono dalla Pianura alla fascia Pedemontana fino al confine con i Laghi.
 
 
 
 
 

NUVOLOSITA’ IN ARIA STABILE ED OSTACOLI OROGRAFICI

Un flusso d’aria stabile costretto a sollevarsi nell’impatto contro una catena montuosa non continua spontaneamente a salire lungo il cammino ascendente forzato, ma tende a ritornare al suo stato iniziale di equilibrio.
Una corrente di aria stabile si comporta come una corda elastica che vibra con moto armonico. Le oscillazioni verticali si susseguono diminuendo di ampiezza man mano che ci si allontana dalla catena montuosa che ha generato l’urto. Il vento nell’impattare contro la barriera orografica  è costretto a salire verso l’alto (Mountain Wave) ma, essendo l’aria stabile, precipiterà a valle per gravità senza potersi fermare per inerzia al suo punto di equilibrio. In questo modo risalirà forzatamente per poi ridiscendere descrivendo un andamento sinusoidale  (Lee Wave) che rispetto al suolo rimane fisso nello stesso posto. Il moto ondulatorio gravitazionale è stazionario e permane tale quale fin tanto che la velocità del vento rimane costante. Durante la fase di salita forzata se l’aria è sufficientemente umida può condensare dando luogo a nubi lenticolari che demarcano la sommità di ogni cresta perpendicolarmente alla direzione del vento. Allo stesso modo anche le onde meno ampie propagatesi in alta troposfera possono sviluppare bande di cirri filamentosi. Al contrario al di sotto dell’ondulazione, proprio perché il flusso nei bassi strati è di tipo laminare, si possono formare intensi vortici ad asse orizzontale. Si tratta di rotori riconoscibili specialmente in corrispondenza delle creste dal rigenerarsi di cumuli stazionari dall’aspetto sfrangiato (Fractus).
La formazione delle onde orografiche presuppone aria stabile e vento di direzione costante almeno al di sopra del crinale montuoso; l’intensità del vento è correlata con la lunghezza dell’onda, mentre in aria stabile le onde si accorciano aumentando di ampiezza. La presenza di umidità sul versante sopravvento non sembra avere un ruolo importante quanto la stabilità dell’aria: spesso è osservabile un muro di Staü  che talvolta “sfonda” sul versante sottovento ma questo non è correlato allo sviluppo delle onde orografiche.
 
 
 
 
 
La perturbazione di un flusso laminare causata da un ostacolo orografico provoca a valle un rallentamento e subito a monte un’ accelerazione. Ove il flusso accelera simultaneamente questo diminuisce nella sua pressione in accordo al principio di Bernoulli che afferma la conservazione della massa durante il trasferimento di energia. A valle del crinale montuoso la rarefazione della colonna d’aria dovuta al rinforzo del vento in quota richiama per compensazione una risalita d’aria lungo il pendio sottovento. Se la corrente in ascesa è abbastanza umida si può sviluppare una nube appiattita al di sotto del flusso che ha superato la cresta montuosa, che può ispessirsi grazie alla turbolenza generata dal rotore.
La formazione nuvolosa assume l’aspetto di una bandiera che si estende in lontananza dal crinale della montagna e si rigenera fin quando il vento permane costante nella direzione e nell’intensità. La formazione di una Banner Cloud  presuppone che la corrente sopravvento debba essere intensa, stabile e piuttosto secca. In caso contrario si svilupperebbero sistemi convettivi a monte o un muro di nubi da sbarramento che ostacolerebbero lo sviluppo di questa particolare formazione nuvolosa. Il fenomeno si nota raramente quando un sistema frontale impatta una catena montuosa. E’ invece più frequente quando la massa d’aria sopravvento origina da un anticiclone e si presenta stabile almeno al di sopra della cresta montuosa. Nei bassi strati le condizioni termodinamiche sono invece indifferenti, per cui una Banner Cloud può tranquillamente presentarsi anche se a monte si sviluppano nei bassi strati alcuni sistemi convettivi di modesta entità.
 
 
 
 
 
Su una superficie marina l’attrito è scarso per cui il vento conserva in modo particolare le proprietà laminari e cioè costanza nella direzione e velocità. Quando però la corrente incontra un’isola le linee di flusso si separano e si sviluppa a valle una scia turbolenta caratterizzata dal distacco alternato di mulinelli noti come vortici di Von Karman. Il fenomeno è influenzato dalla forma e dalle dimensioni dell’ostacolo, nonché dalle proprietà di viscosità del fluido che, nel caso sia un gas, cresce con l’aumentare della temperatura. Un banco di nubi basse e stratificate può rendere evidente questo fenomeno a patto che però l’aria sia anche stabile. In questo modo la corrente da non riesce a scavalcare l’isola ma è  invece costretta ad aggirarla, deformando così la propria linearità.
 
 
 
 
 
 
 
Succ.
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