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La neve e i suoi adepti   Inserito il› 14/01/2013 21.50.27
Aggiornato il› 15/01/2013 19.56.46

Ho voluto tornare di nuovo a parlare di neve. Sono passati circa tre anni dal “trattato sul nivofilo”. Ne sono successe tante da allora. In questi ultimi giorni mi è tornata la voglia di scrivere e un giorno ho buttato lì un post sul forum CML.

“Noi che la meteorologia…”, una riflessione così di getto, non immaginando che da lì a poche ore avrei ricevuto così tanti commenti e risposte.

Li ho letti tutti. E ho avuto la conferma che la passione non invecchia. Certo, la vita diventa spessa con l’età. Responsabilità, preoccupazioni, stress. Ma la passione resta. Magari è lì, in un angolo, e quando meno te lo aspetti…zac, salta fuori e ti fa rivivere alcuni episodi che… sembra ieri.

Come farebbero altrimenti, dico io, persone così distanti geograficamente, anagraficamente, di ogni ceto e cultura, a scrivere sostanzialmente le medesime cose riguardo alla neve?

Ho provato a dare una spiegazione nel “trattato”, ma non riesco ancora a trovare il vero bandolo della matassa.

Insomma, cosa avrà mai questa benedetta neve da far pulsare i cuori all’unisono? Cosa avrà mai da far emergere dei veri e propri tic maniacali?

Perché, quando smette di nevicare, il nivofilo sta male? Soffre? Cade in depressione? Perché,invece, quando si sa che la neve sta arrivando tutti entrano in fibrillazione e i forum rischiano il collasso dei server?

È veramente interessante scoprire che un diciottenne di oggi, fa le stesse cose che facevamo noi trenta o quarant’anni fa, senza apparente soluzione di continuità.

Quando cerca spasmodicamente il fiocco di neve su ogni zona scura del paesaggio che ha di fronte, sia che guardi da una finestra, che un finestrino del bus, andando a scuola. E che mi dite del sottotetto? Non parliamo poi dei lampioni, lampade, torce elettriche utilizzate di notte per scrutare lei. Sempre lei…

Poi, ecco l’aspetto più interessante. Il confronto generazionale. Perché di questo si tratta. Quando la schiera dei “vecchietti” si confronta con i ventenni, c’è di mezzo una generazione. Eppure leggete i messaggi, e sfido chiunque ad indovinare l’età di chi scrive! La neve mantiene giovani? Pare di sì.

Poi qualcuno mi ha pregato di raccontare ancora. Non bastassero i libri su Milano, Varese e Como, nati dalla grande collaborazione con Roberto e Gabriele.

Ma come si fa a non essere tentati? Per esempio, come si fa a non ricordare quegli attimi? Quei giorni interi, quelle settimane, quelle stagioni che lassù, dov’ero a quei tempi, “scendevano con passo sicuro”, per rubare una citazione al grande Piero Chiara.

Per me non c’è solo l’85. Quello è arrivato dopo, molto dopo. A Cugliate, dove stavo dalla fine degli anni ’60, di neve ne avevo vista molta anche prima. Quante mattine, mia mamma mi svegliava spalancando le finestre e…oplà, i pini davanti alla casa erano bianchi, con i rami già piegati da una quarantina di centimetri. Nel Dicembre del ’70, ne venne giù quasi un metro. Se ne combinavano tante da bambini. La sera si arrivava fradici, con le gote rosse che sembravamo tanti Peter e Heidi. Allora ci aspettava la mamma o la nonna con il the e i biscotti, non prima di essersi lavati e asciugati.

La sera, davanti alla stufa o al camino, ascoltavamo i racconti di nonne, mamme, zii, zie e tutti a raccontare di inverni del passato remoto, partendo da quel 1915 che lassù aveva sepolto tutti sotto metri di neve. Quei racconti, per esempio, sono diventati un libro, quello su Varese e le valli.

Ma noi, all’epoca, sognavamo l’evento. Sognavamo di vivere un episodio come quelli dei racconti che ascoltavamo in religioso silenzio.

E l’episodio arrivò.

Il Gennaio e il Febbraio 1978 restano qualcosa di magico. Associo sempre quelle nevicate al fatto che, proprio quell’anno, la RAI mise in onda per la prima volta la serie Heidi, a cartoni animati. Sotto oltre due metri di neve, caduti in tre nevicate nel giro di un mese, ci guardavamo gli episodi della piccola Heidi, e da allora, quando nevica tanto penso sempre a quel periodo felice, quando ci lanciavamo nella neve direttamente dal balcone e il nostro cane faceva le gallerie, e costringevamo nostra madre a cuocere il formaggio sul camino come faceva il mitico nonno di Heidi.

Storie dell’altro secolo, dirà qualcuno. Eh si, dico io. Avevamo molto meno ed eravamo più felici.




Poi arrivò l’85. Qui diventa difficile non cadere nel nostalgico, oppure si rischia di ripetersi, ma quello fu un episodio perfetto. Prima il gelo, poi la neve, in una sequenza difficilmente ripetibile.

Ora, non conta tanto la quantità di neve che comunque fu notevole. A Cugliate stimiamo che si siano superati i 160 cm, tenuto conto che non fu misurata come doveva essere, e la compressione ha avuto senz’altro il suo ruolo. Oramai i giorni ve li ricordate tutti; dal 13 al 17 Gennaio neppure una goccia d’acqua. Ricordo che stava uscendo il sole e scendevano ancora dei fiocchetti…roba da Wassertal o da Engadina.

Ma sono le atmosfere, i suoni, i colori, le voci, le persone andate via col tempo. Perché, mi domando, c’è questo grande interesse, passione, mania per la neve e per gli episodi passati.

Perché?

In alcuni di noi può farsi spazio l’elemento nostalgico. Ma noi abbiamo cinquant’anni! E quando questo aspetto lo vedo riflesso in un ventenne? Come me lo spiego? La volta scorsa ho tirato in ballo la teoria della “neve madre” e dell’elemento “ordinatore”. La neve come elemento che tutto parifica e che, con le sue conseguenze, unisce idealmente una comunità, una società, anche se in modo effimero. Via la neve, tutto torna al quotidiano scorrere.

Forse è proprio qui la chiave del mistero. In qualche parte recondita, ancestrale dell’ipotalamo, il nivofilo ha bisogno di questo elemento ordinatore. La neve risveglia i ricordi d’infanzia. E’ però anche vero che la neve possiede anche la capacità di livellare le cose e le persone. Una sorta di patto di solidarietà silenzioso, magari non espresso, ma cercato, desiderato. Quando nevica, e magari si scende in cortile o in strada per spalare, diventa più facile parlare con la gente. Ci si illude di recuperare quel certo senso della comunità che nei decenni si è perso nello stress e nella “vuotezza” del vivere quotidiano. Ognuno per sé, ma non quando nevica, verrebbe da dire.

Tutti (ma proprio tutti) gli ultraquarantenni che hanno risposto al mio thread sul forum, rimarcano l’elemento nostalgico, legato anche alla pochezza dei mezzi tecnologici di allora.

A quei tempi, il massimo della “trasgressione” era il bollettino al telefono che costava tre scatti, e se ci beccavano ci sgridavano pure.

Con i pochi mezzi a disposizione si cercava di capire come si sarebbe evoluta una certa situazione.

L’attesa era spasmodica. Lentamente, il cielo si copriva. Allora via! Fuori a vedere la temperatura, quindi colpetto sul vetro del barometro. Poi, silenzio: c’è la Meteo su Radio Svizzera. Poi, circa un’ora dopo, guai a perdersi Bernacca, Baroni o Caroselli. E poi si accendeva la luce fuori per vedere se iniziava.

Poi la finestra che dava sul lampione, e quindi avanti e indietro, apri la finestra, chiudila perché ti stanno urlando che fa freddo e poi: “ma basta! Vieni a tavola!”

Chi di voi non si riconosce? Sto raccontando cose di trenta o quaranta anni fa. Eppure, i giovani si riconoscono nelle stesse manie.


Quando centinaia di persone, anzi migliaia, si riconoscono nel “nivofilo compulsivo” e lo scritto viene letto da duemila persone, tra le quali una professoressa di filosofia che è rimasta folgorata da quello che ho tentato di spiegare, allora vuole dire che avevo ragione. Allora vuole dire che è bello cercare di capire le cose sino in fondo, anche se si rischia di perdersi nei mille rivoli delle ipotesi.

Uno psichiatra e psicoterapeuta di fama nazionale, qualche anno fa approfondì la questione del “nivofilo”. È stato un privilegio per me poter ottenere un po’ del suo tempo prezioso per studiare il caso (il che non mi ha fatto male, anzi).

Per lui, il nivofilo conserva in sè i caratteri del crepuscolare. Chi è un soggetto crepuscolare? È una persona non necessariamente schiva, ma decide lui quando cercare la compagnia degli amici. Spesso ama la riflessione, ma non necessariamente è un solitario. E poi, il colpo da maestro che mi ha fatto balzare dalla sedia: il crepuscolare non ama molto il sole a picco, e fin qui beh, ci si arriva da soli visto che si chiama soggetto crepuscolare. Un inciso. Giovannino Guareschi, scrittore geniale del XX secolo, autore di Don Camillo, ma non solo, soleva scrivere che il sole di Luglio a mezzogiorno era come un fenomeno da baraccone, troppo chiassoso e irrispettoso. Il sole tornava ad essere un “galantuomo” al tramonto, quando le ombre si allungano e tutto torna quieto.

Il crepuscolare è infastidito dalla luce abbagliante e non solo. A Gennaio, le giornate si allungano. All’inizio del mese, anche se al mattino è molto buio, la sera il sole ha già guadagnato qualche minuto… L’allungarsi delle giornate dà al crepuscolare un sottile senso di fastidio. L’inverno è spesso la sua stagione, quindi: freddo, neve, calma e Il buio che arriva presto e invita quindi alla meditazione. Se il crepuscolare è anche un nivofilo la faccenda è seria!

Chissà se ne verremo mai a capo. Sociologi, psicologi, scrittori, esperti. Eppure il bandolo della matassa non si sbroglia.

Facciamo così, che non se parli più. Tanto è inutile. La neve e tutti i suoi adepti resteranno sempre difficili da spiegare. Godiamoci l’attimo che fugge e non prendiamocela troppo se le mappe stravolgono ogni sei ore il longe range…. Viviamo il momento anche se l’attesa spesso è vana e, spesso, non viene ripagata.

Ma quando poi arriva, allora sarà un momento magico. Direttamente proporzionale al tempo che abbiamo atteso. Insomma, buona neve a tutti!

Filippo Ricciardi, 12 Gennaio 2013.

 

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