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Particolato atmosferico e immagini satellitari MODIS: prospettive di analisi in Val Padana   Inserito il› 30/10/2017 17.00.30

Il presente studio desidera mettere luce sulle tecniche di indagine della troposfera tramite dati satellitari MODIS (“MODerate resolution Imaging Spectroradiometer”), con particolare riferimento alle prospettive di individuazione delle particelle inquinanti nell’aria che respiriamo. Prendendo spunto da alcuni scenari meteorologici occorsi in Pianura Padana nell’ottobre 2017, abbiamo cercato di esaminare i rapporti causa-effetto basandoci sulla letteratura scientifica attualmente a disposizione (vedi: note bibliografiche).
Per poter affrontare la tematica nel modo il più possibile completo e aggiornato allo stato dell’arte, abbiamo contattato alcuni ricercatori specializzati in telerilevamento atmosferico (“Atmosphere Remote Sensing”), richiedendo un contributo personale sul caso in esame. E’ così nata un’esperienza molto formativa, sia sotto il profilo didattico che umano. La disponibilità dimostrata è stata ammirevole: li ringraziamo di cuore per il tempo che ci hanno dedicato. Di tanto in tanto, tra un paragrafo e l’altro, citeremo testualmente alcuni dei loro preziosi interventi.

Nota Bene: tutto quanto segue non rappresenta un punto di arrivo, ma un punto di partenza per stimolare un costruttivo dibattito sull’argomento. Il lavoro è frutto della sintesi di decine di pubblicazioni a riguardo, nonché delle discussioni intrattenute privatamente via posta elettronica con i ricercatori interpellati. Non è stato semplice: saremo molto grati a chi vorrà segnalarci eventuali imprecisioni/incompletezze. Ogni ulteriore contributo è ben accetto, tanto più se finalizzato a migliorare l'efficacia del presente articolo sotto il profilo divulgativo.



PRINCIPI GENERALI

Qualsiasi cielo, anche quello di un milione di anni fa, anche quello di Heidi e Annette, anche quello “così bello quand'è bello”, è l’effetto di un’atmosfera in cui galleggia un miscuglio di numerosissime sostanze, per la maggior parte concentrate nei primi chilometri dalla superficie terrestre. Per darvi un’idea del numero, considerate che il volume d’aria di un nostro singolo respiro ne contiene mediamente centinaia di migliaia [1].

Circa il 90% della massa totale di queste particelle [2] deriva da sorgenti naturali: polveri, sali marini, microrganismi e spore, pollini, ceneri vulcaniche, frammenti minerali, emissioni sulfuree vegetali ed animali, etc. Insomma: da milioni di anni viviamo immersi in un meraviglioso mondo di sporcizia, a cui aggiungiamo quella di nostra produzione. Consumando combustibili fossili, bruciando rifiuti o frammentando materiali nei processi produttivi, nonché tramite un’infinità di piccole azioni quotidiane, immettiamo nell’atmosfera la nostra dose “umana” di particolato [3]. Sebbene nelle aree a forte urbanizzazione questo contributo possa essere quantitativamente importante, la valutazione della componente antropica rispetto a quella complessiva non è di facile indagine e mostra forte variabilità nel tempo e nello spazio [4].

Tutto ciò che fluttua disperso nell’aria, sotto forma liquida e/o solida, di dimensioni minuscole abbastanza da non precipitare rapidamente per gravità (diametro aerodinamico equivalente minore di circa 100 micrometri), viene definito “particolato”. La sospensione di queste particelle dalla bassa velocità di sedimentazione in una miscela gassosa (l’aria) prende il nome di “aerosol atmosferico”. Dal momento che la purezza assoluta è un concetto applicabile al sentimento divino e non al mondo reale, una (pur minima) quantità di particolato è sempre presente, dovunque e comunque. Questo sterminato esercito di polveri sottili in volo deve fare i conti con il composto chimico più abbondante sulla Terra: l’acqua. Possiamo quindi affermare che l’atmosfera terrestre nella sua interezza, sin dalle proprie origini, è un gigantesco aerosol umido senza soluzione di continuità. Il ruolo dell’H2O negli aerosol troposferici non solo è di vitale importanza per comprenderne appieno le dinamiche, ma è anche argomento di estremo interesse ed acceso dibattito per l’intera comunità scientifica [5]. Mostreremo più avanti alcuni effetti di queste interazioni.

Chi si occupa di “Aerosol Remote Sensing” studia le tecnologie ed i processi analitici utili a stimare la distribuzione e le caratteristiche chimico-fisiche di questa sospensione che avvolge la Terra [6]. Tra i diversi metodi di telerilevamento, quello da satellite in orbita bassa è senz’altro il più intrigante, dal momento che consente di mappare l’intero globo, a frequenza pressoché quotidiana, da un singolo rilevatore. Più avanti concentreremo l’attenzione su alcuni dei dati acquisiti grazie agli strumenti MODIS (acronimo di “MODerate resolution Imaging Spectroradiometer”), installati a bordo di due satelliti di proprietà della NASA (“Aqua” e “Terra”), orbitanti a circa 700 km di quota [7]. Le informazioni grezze provenienti dai sensori (radiometri), dopo essere state opportunamente processate, consentono l’elaborazione di una lunga serie di prodotti (numerici e grafici) utili ad analizzare diversi fenomeni che si manifestano sul globo terracqueo [8]. Tra tutti questi prodotti, il meno tecnico ma il più popolare ai “non addetti ai lavori” è la nota ricostruzione nei tre canali visibili RGB, qualcosa di paragonabile a ciò che potrebbe osservare con i propri occhi un ipotetico astronauta a bordo dello stesso satellite. Sono immagini spettacolari, ad altissima risoluzione (fino a 250 metri per pixel), che consentono di ammirare autentici spettacoli della natura con un grado di dettaglio notevole. Esistono poi altri prodotti, più tecnici, molti dei quali a livello sperimentale e quindi in continuo perfezionamento, utili a fornire indicazioni preziose ai ricercatori chi si occupano di scienze della Terra. Una di queste elaborazioni grafiche, forse nota agli appassionati di meteorologia, è quella che consente di discriminare la presenza di acqua allo stato solido (ghiaccio/neve).




AEROSOL E IMMAGINI MODIS: CASI DI STUDIO IN PIANURA PADANA

1) Aspetti geometrici

Partiamo da questa immagine, che per qualche giorno, grazie a un curioso intreccio del destino, è stata più chiacchierata delle curve di una top model:



Fonte: https://lance-modis.eosdis.nasa.gov/imagery/subsets/?subset=AERONET_Ispra.2017291.aqua.1km

L’area sotto osservazione è il Nord Italia, mercoledì 18 ottobre 2017 alle ore 11:50 UTC circa (ore 13:50 in Italia). Si tratta, come spiegato poc’anzi, di una rielaborazione nello spettro visibile RGB (per la precisione, bande 1-4-3, true color). Al di là delle spettacolari trame disegnate dall’orografia alpina, raccoglie l’attenzione quella coltre apparentemente grigiastra che appare adagiata in Pianura Padana centro-occidentale (il bianco lucente sulle pianure venete è un tappeto di nubi basse/nebbie). A differenza di quanto si potrebbe essere portati a credere, l’immagine che vedete qui sopra non è il dato originale, ma è frutto di una successiva “riproiezione”. Cosa significa? Per chiarirvi le idee, guardate con attenzione questo video che simula il lavoro certosino di uno dei satelliti MODIS:



Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=mQv9B2O9WUE

Il frammento d’acquisizione con geometria originale (5 minuti di quel nastro, in gergo tecnico si chiama “Orbit Swath”), relativamente alla porzione di territorio che comprende anche l’area padana che vediamo nell’immagine precedente, è questo:



Fonte: https://lance3.modaps.eosdis.nasa.gov/cgi-bin/imagery/single.cgi?granule=A172911150

Possiamo notare come, in questo specifico caso, la nostra amata Valpadana non sia stata ripresa dalla verticale, bensì sotto un angolo medio di osservazione abbastanza ampio (quasi massimo, circa 50°). Quest’angolo non è fisso ma varia in funzione del percorso di transito del satellite [9]. In poche parole: quando il satellite, nella sua spazzolata a ciclo continuo, passa sopra alla nostra capoccia (cioè in prossimità dello zenith), allora abbiamo a disposizione una vista quasi verticale. Quando invece transita sopra di noi con una traiettoria più laterale, ci restituisce una prospettiva diagonale. Va da sé che la qualità dei dati acquisiti dai radiometri sia massima lungo la porzione di territorio che va a trovarsi proprio sotto la traccia orbitale, mentre vada via via degradando in direzione dei bordi.

Quello appena descritto è soltanto uno dei molteplici fattori che contribuiscono a condizionare il dato acquisito in funzione del contesto d’osservazione. Possiamo citarne un altro, che può avere un’influenza altrettanto significativa quando lo scopo del lavoro è quello di discriminare la frazione di luce solare che non riesce a raggiungere il suolo.
Dal momento che ciò che vediamo nello spettro del visibile è conseguenza di una riflessione della luce solare da parte della Terra, la posizione del sole rispetto all’angolo di osservazione del satellite ricopre un ruolo più che fondamentale nel dato acquisito. Questa geometria, oltre che dipendere dall’orbita di transito, è quindi variabile anche in funzione della stagionalità. Sono facilmente distinguibili gli aloni di riflessione ottica sulle superfici oceaniche (“sunglints”), causati dal forte “effetto specchio” dell’acqua [10]. Simili artefatti, seppur in maniera meno netta, si verificano anche in presenza di superfici specchianti di altra natura, con un impatto proporzionale all’uniformità dello strato riflettente [11] e comportano non pochi problemi di analisi, con necessità di compensare in modo opportuno i dati radiometrici [12][13].

Per meglio chiarire quale possa essere l’impatto visivo dei due fenomeni appena descritti sulle immagini nel visibile, vi mostriamo un paio di esempi. La seguente riproiezione MODIS del satellite “Aqua” di venerdì 13 ottobre 2017. E’ composta dal collage di due successivi transiti del medesimo strumento, il primo alle ore 13:30 italiane (porzione padana ad est, all’apparenza opaca) ed il secondo, poco dopo, alle ore 15:10 italiane (porzione padana ad ovest, all’apparenza più tersa):



Fonte: https://lance-modis.eosdis.nasa.gov/imagery/subsets/?subset=AERONET_Ispra.2017286.aqua.1km

Queste sono le corrispettive viste della Pianura Padana dalla vetta della Grigna Settentrionale (LC), 2410m slm:



Fonte: https://grignone.panomax.com

Va da sé che l’unica cosa che è cambiata in modo netto, in quei 100 minuti, è la geometria di osservazione dal satellite. Tra l’altro: dalle fotografie della webcam in Grigna Settentrionale è percepibile un aumento apparente della foschia nella seconda immagine (15:10), in contrasto con quanto potremmo dedurre dalle immagini MODIS. In realtà, anche per questo caso, è una conseguenza della posizione del sole, più basso sull’orizzonte, che amplifica l’effetto di luce diffusa. Chi va per monti avrà familiarità con questi fenomeni.


In quest’altra immagine, acquisita lunedì 16 ottobre 2017 alle ore 12:20 italiane, il Nord Italia ci appare così:



Fonte: https://lance-modis.eosdis.nasa.gov/imagery/subsets/?subset=AERONET_Ispra.2017289.terra.1km

E’ una giornata con aria limpida e cieli tersi? Non precisamente. E’ piuttosto un transito del satellite proprio sopra la verticale dalla Pianura Padana*, quindi con minima evidenza visiva della torbidità atmosferica, certo presente, seppur in maniera minore rispetto al venerdì della settimana precedente. Questa è le corrispettiva vista dalla vetta della Grigna Settentrionale (LC):



Fonte: https://grignone.panomax.com

* https://lance3.modaps.eosdis.nasa.gov/cgi-bin/imagery/single.cgi?image=crefl1_143.A2017289102000-2017289102500.2km.jpg

E’ possibile rendersi conto del fatto che questo genere di immagini dal satellite, a colpo d’occhio, restituisce un messaggio che può essere fortemente condizionato dalla contingenza di osservazione. Più è grande l’angolo sotto cui il radiometro intercetta il bersaglio, più l’opacità apparente aumenta. Più la geometria di osservazione è prossima a quella utile ad intercettare la riflessione solare diretta, più l’opacità apparente aumenta. Il medesimo fenomeno, in altre parole, può mostrarsi con diversi gradi di evidenza a seconda delle condizioni al contorno. Per questa ragione simili immagini possono prestarsi a strumentalizzazione: è sufficiente scegliere quelle che meglio trasmettono le sensazioni che desideriamo comunicare. Nulla di nuovo sotto il sole, ma ogni tanto può essere utile ricordarlo.



2) Stratificazione di aerosol in Pianura Padana in condizioni di alta pressione perentoria

Dopo queste delucidazioni di carattere geometrico, andiamo ora ad introdurre un aspetto un po’ più fisico. Tanto o poco che sia, nell’immagine satellitare di mercoledì 18 ottobre 2017 abbiamo comunque notato la presenza di quella coltre grigiastra semi-trasparente e ci stiamo domandando di cosa si tratti.

Durante i periodi di forte stasi anticiclonica, specie nel semestre freddo, i primi 1-2 chilometri circa d’aria racchiusa nel “catino padano”, isolato su tre lati da Alpi ed Appennini, tendono a stazionare per lungo tempo. In questo scenario è osservabile basso o nullo rimescolamento interno, scarso ricambio con l’esterno e progressivo aumento della quantità complessiva di vapore acqueo, che tende a disporsi in modo disomogeneo, alternando strati più umidi a strati meno umidi, con un picco igrometrico normalmente posizionato nella porzione sommitale di questo “mare” d’aria adagiato in Pianura Padana. A quote superiori, solitamente a partire dai 1500-2000 metri di quota circa, è normalmente presente un’improvvisa transizione verso un tipo di massa d’aria molto più asciutta (10-30 %UR circa), più mobile e talvolta più mite rispetto a quella presente a quota inferiore.
Questa particolare condizione, che vede la troposfera padana separarsi verticalmente in volumi dalle caratteristiche chimico-fisiche nettamente diverse, rappresenta un grattacapo non indifferente per qualsiasi metodo di indagine remota che non sia abbastanza raffinato.

Cambiamo punto di vista e osserviamo la Pianura Padana, sempre nel primo pomeriggio del 18 ottobre 2017, da un po’ più vicino rispetto ai 700km e rotti di quota del satellite MODIS “Aqua”. Siamo a circa 9km di quota, a bordo di un aereo di linea in volo sopra il parco del Gran Paradiso (ringraziamo Andrea Cerasoli per il prezioso documento). Sulla destra le Alpi Occidentali, sulla sinistra, immerse in strati di foschia lattiginosi, le colline e le pianure piemontesi:



Basandoci sull’altezza dei rilievi alpini riconoscibili nello scatto, possiamo stimare quale sia la sommità (top) dello strato di foschia (HAZE): circa 1400-1600m slm. A quota superiore è presente aria molto più secca (DRY AIR), che garantisce eccellente visibilità. Dall’osservazione di questa foto aerea potremmo essere portati a pensare che, in quello strato di troposfera dal suolo fino a 1500m, sia presente aria satura o comunque prossima al 100% di umidità relativa. In realtà non è così.
La saturazione è solo localmente raggiunta laddove si palesano, per debole convezione sull’ultimo tratto dello strato umido, quei piccoli cumuli lungo le prime vette prealpine piemontesi (circa 1600-1800m di quota). Fatta eccezione per quei cumuletti, peraltro ben visibili (come punti bianchi) anche dalla corrispondente foto satellitare MODIS, tutto il resto di quella massa d’aria biancastra si trova in condizioni di sotto-saturazione. Come possiamo saperlo?

Ci sono molto utili in tal senso i radiosondaggi atmosferici, ossia delle sonde agganciate a palloni aerostatici, lanciate quotidianamente da alcuni centri di monitoraggio meteorologico, che misurano passo passo le condizioni termo-igrometriche dei vari strati troposferici mentre salgono verso la stratosfera. Ecco la conferma strumentale da parte dei lanci partiti dal suolo alle ore 12:45 locali:



Sulla verticale di Levaldigi (Cuneo) e di Milano Linate abbiamo condizioni termo-igrometriche paragonabili, con valori di umidità relativa nei primi 1500 metri che oscillano tra 60% e 80% (valori confermati, del resto, anche dalle centraline della Rete CML installate sulle vette dei primi contrafforti prealpini lombardi). Salendo di quota, le sonde intercettano aria molto secca (10-20 UR%). Le condizioni su Rivolto (Udine) sono invece diverse: abbiamo aria in saturazione in uno strato da circa 500 a 700m slm, ossia è presente una coltre di nebbia alta (FOG) spessa un paio di centinaia di metri. Ecco spiegato il motivo per cui, sempre nella ripresa MODIS del 18 ottobre 2017, appare nell’immagine un’area bianca lucente che oscura completamente la vista di parte delle pianure del Triveneto.

Tipicamente negli strati più prossimi al suolo, infatti, allorché l’umidità relativa raggiunge e supera di poco la saturazione (100% UR), si innesca lo sviluppo e l’accrescimento di goccioline d’acqua per condensazione. Queste hanno dimensioni certamente minuscole (raggio minore di circa 0.1 mm, altrimenti cadrebbero presto al suolo), ma sono grandi abbastanza da comportare un sensibile effetto di dispersione locale della luce anche per volumi ristretti. Se siamo localmente prossimi o immersi in questa sospensione (es. in volo dentro a una nube), alla vista ci appare il classico “effetto nebbia”, in cui la visibilità si riduce in accordo con la densità e la dimensione delle goccioline. Se invece osserviamo il fenomeno da grande distanza, ad esempio dalla vetta di un monte oppure – appunto – dal satellite, questa massa ci appare come un tappeto bianco in grado di nascondere completamente la vista della superficie terrestre.
Le particelle che universalmente fluttuano sopra le nostre teste ricoprono un ruolo determinante per l’innesco di questi processi, che altrimenti in natura sarebbero ostacolati dalle stesse leggi fisiche. Vale a dire: in un mondo ideale, privo di particolato, la meteorologia andrebbe totalmente riscritta, così come la vita sul nostro pianeta.
Chiarito questo aspetto ci domandiamo: come mai, anche laddove non sia presente saturazione a nessuna quota (UR sempre minore del 100%), la visibilità può risultare ridotta?


3) Ruolo del vapore acqueo nell’interazione tra luce ed aerosol atmosferico

La radiazione solare viene comunque un po’ attenuata anche se non sono presenti addensamenti nuvolosi o nebbiosi degni di nota che si frappongono tra il sole ed il suolo. Attraversando la porzione di troposfera che sovrasta la Pianura Padana, la luce del sole subisce interazioni fisiche e fotochimiche che ne determinano riflessione, assorbimento e dispersione (altresì detta “scattering”). Cos’è che genera queste interazioni? Ancora il fatto che, come abbiamo premesso all’inizio dell’articolo, sopra le nostre teste fluttuano sempre e comunque particelle di ogni genere (il nostro “aerosol atmosferico”).
Ciascuna di esse, colpita dalla radiazione solare, in parte l’assorbe ed in parte la diffonde in più direzioni, comportandosi come se fosse una sorgente secondaria di luce. Citando un esempio forse poco rigoroso ma molto illuminante, è un po’ come se fossimo di fronte a miliardi e miliardi di nano-lampadine. Queste particelle possono essere più o meno abbondanti, più o meno grandi, quindi più o meno influenti nel processo di non-trasmissione (in gergo tecnico, di “estinzione”) della luce solare. Insomma: l’aerosol rende un po’ meno trasparente l’atmosfera, limitandone la profondità ottica. Questo processo possiede una fortissima correlazione con la disponibilità di vapore acqueo in atmosfera. Cerchiamo di spiegare perché.



A meno dell’intervento di grossi incendi, tempeste di pulviscolo sabbioso sahariano, eruzioni vulcaniche o altri simili eventi naturali ed artificiali che determinano l’emissione di gigantesche quantità di materiale concentrato in sospensione, la presenza del particolato atmosferico alle densità volumetriche medie delle nostre regioni (da 0 a 150 microgrammi di PMx medi per metro cubo in libera troposfera, come da misure condotte in Val Padana [14] [15]) non è sostanzialmente apprezzabile ad occhio nudo in assenza di una sufficiente idratazione, né quindi può esserlo tramite sola consultazione visiva delle immagini satellitari MODIS true color.
La frazione non idratata di queste polveri, infatti, in accordo con le simulazioni tramite i modelli fisici che governano il fenomeno (“Mie Scattering”), possiede un coefficiente di non-trasmissione della luce molto più basso rispetto alle medesime quantità idratate. Esperimenti svolti in contesti estremamente inquinati (aree urbane della Cina nord-orientale, fino a 1000 microgrammi di PMx per metro cubo) hanno confermato sperimentalmente buone visibilità in condizioni di aria estremamente secca [16] [17] [18]. Se in queste condizioni di bassa umidità relativa non è visivamente apprezzabile il particolato sospeso, ancora meno può esserlo la sola quantità di origine antropica. Allo stesso modo, l’acqua pura allo stato gassoso è invisibile ad occhio nudo, essendo una sostanza chimica di per sé trasparente. Nella realtà dei fatti – uscendo da uno sterile approccio da laboratorio – il vapore acqueo presente in atmosfera palesa ai nostri occhi la sua presenza grazie all’intima interazione con le onnipresenti particelle. Buona parte di esse, infatti, sono molto igroscopiche, cioè in grado di “assorbire” le molecole di vapore acqueo tramite una serie di processi abbastanza complessi (“aerosol swelling”). E' questo matrimonio, dunque, che tradisce la presenza dell'aerosol.

Abbiamo utilizzato il termine “assorbire” – e non “condensare” – per due ragioni. La prima, per rendere meglio conto della presenza di dinamiche chimico-fisiche diverse (osmosi, dissoluzione, etc.), che presentano forte dipendenza dalla composizione chimica, della forma e delle dimensioni delle particelle coinvolte, nonché dalla disponibilità di vapore acqueo. La seconda, perché la condensazione in senso stretto porta solo a un incremento di massa e non del numero totale di particelle. L’accrescimento igroscopico si “attiva” a partire da valori soglia di umidità relativa in funzione della natura del soluto. Il punto di equilibrio dell’intero sistema dipende quindi da una complessa valutazione di tutti i fattori coinvolti in questo intimo rapporto solvente-soluto, ossia acqua-particella [19].



Senza addentrarci in una digressione eccessivamente tecnica, quello che è importante sapere è che, pur in un campo di sotto-saturazione (cioè di assenza di nubi e con umidità relativa ampiamente minore del 100% su tutta la colonna atmosferica), ha comunque luogo un corposo processo di aggregazione tra le molecole d’acqua e le particelle stesse, non senza importanti modifiche nella loro densità numerica e dimensione media corpuscolare. Ciò comporta variazioni sensibili nell’interazione ottica di questo aerosol “ingrassato dall’acqua” con il flusso di luce solare e determina un calo della visibilità. In una parola, parliamo di quella che comunemente si definisce “foschia” (in inglese “haze”), che è quindi una condizione diversa dalla nebbia (in inglese “fog”).

3) Indagine strumentale dell’aerosol atmosferico tramite MODIS



E’ corretto indagare il particolato contenuto nell’aerosol atmosferico impiegando le immagini MODIS nello spettro visibile RGB? Tutti i ricercatori interpellati hanno risposto di no. Quelle riproiezioni, anche in considerazione degli artefatti di origine geometrica che abbiamo descritto nel paragrafo precedente, non sono lo strumento tecnicamente adeguato per questo tipo di investigazione. Al più possono essere rappresentative della sua presenza, ma non ne stabiliscono né la densità né le caratteristiche chimico-fisiche né la possibile origine.
Limitatamente ai dati acquisiti dai radiometri MODIS, esistono prodotti un po’ più consoni allo scopo? Sì, ma – anche in questo caso – ci sono una serie di avvertenze che suggeriscono di adoperarli con una certa cautela. Vediamo perché.

Possiamo definire una grandezza ricavata strumentalmente, che chiameremo “profondità ottica dell’aerosol” (in inglese “Aerosol Optical Depth”, AOD, anche detto “Aerosol Optical Thickness”, AOT), utile a darci una misura numerica di quanto l’interferenza delle particelle sia otticamente impattante. La stima di questo valore necessita di algoritmi sofisticati, che hanno il difficile compito di filtrare gli errori e compensare i limiti dell’acquisizione radiometrica. Basti pensare che strumenti diversi e/o algoritmi diversi, focalizzati sul medesimo obiettivo, possono fornire risultati anche molto discordanti.

Ad ogni modo, per meglio chiarire cosa intendiamo per analisi strumentale e non visiva, osserviamo la stima della profondità ottica dell’aerosol (AOD) ricavata dall’acquisizione radiometrica del satellite MODIS “Terra” di lunedì 16 ottobre 2017 alle ore 12:20 italiane. A sinistra la riproiezione nel visibile, a destra il calcolo del corrispondente AOD:



N.B.: nella rielaborazione sulla destra il valore di AOD è mancante (trasparente) laddove le condizioni locali di riflettività (natura del suolo, schermatura da parte di nubi/nebbie, etc.) non ne hanno consentito il calcolo.

Questo parametro possiede tre caratteristiche di essenziale importanza. La prima è che può dirci poco circa la natura dell’aerosol stesso, che va indagata diversamente. La seconda è che si tratta di una quantità totale (integrale), cioè riferita all’intero spessore verticale dell’atmosfera, ignorandone la distribuzione spaziale (fatto assai rilevante, vedremo più tardi perché). A che quote sono concentrate queste particelle? Non si sa. La profondità ottica non può dircelo, sono necessarie altre tecnologie d’analisi. La terza è che c’è una correlazione non banale, in quanto dipendente da meccanismi micro-fisici ancora non del tutto chiariti, tra la profondità ottica dell’aerosol e la disponibilità di umidità relativa nella colonna troposferica osservata.

Esiste quindi un’interferenza, difficilmente quantificabile, nella stima strumentale della profondità ottica dell’aerosol che deriva da un’alterazione di massa e densità corpuscolare media del particolato da parte del vapore acqueo. La naturale variabilità delle condizioni meteorologiche ricopre quindi un ruolo molto critico nell’indagine dell’aerosol dai satelliti MODIS [20]. Ciò si traduce in questa conclusione: anche quello che gli occhi non vedono, ma gli strumenti segnalano, necessita di una complicata procedura di interpretazione e conversione del dato.
Tradurre il valore di AOD in effettivo contenuto di particolato (PMx), al netto dell’acqua e di ogni altra interferenza, è una questione ancora molto aperta. Questi limiti d’indagine strumentale sono tanto maggiori quanto più la medio-bassa troposfera è nelle condizioni di stratificarsi in volumi quiescenti ad alta disponibilità di vapore acqueo in equilibrio di sotto-saturazione. A questo proposito vi mostriamo l’analogo confronto relativo dall’acquisizione radiometrica del satellite MODIS “Terra” di mercoledì 11 ottobre 2017 alle ore 12:00 italiane. A sinistra la riproiezione nel visibile, a destra il calcolo del corrispondente AOD:



La presenza di strati nebbiosi sul Piemonte e nel Triveneto, nonché il transito di nubi alte, limita la possibilità di indagine su una porzione di superficie ridotta. Laddove il parametro viene calcolato (Valpadana centrale) possiamo notare un gradiente significativo in direzione nord-sud, con un picco in fascia pedemontana a declinare verso le basse pianure. Questa distribuzione mostra una chiara correlazione con l’umidità relativa degli strati di medio-bassa troposfera in sotto-saturazione, in accordo con la sinottica che vede un richiamo umido dai quadranti sud-orientali, con addensamenti in direzione della fascia prealpina. E’ verosimile che in questo caso la variazione locale in termini di AOD, anche in accordo con le ricerche sperimentali condotte a riguardo [21] [22] [23] [24] [25], non sia da imputare a una reale variazione della quantità totale di massa secca di particolato bensì a una diversa condizione di equilibro tra la soluzione sospesa di acqua e particolato. Vale a dire: a parità di “inquinamento”, più o meno naturale o antropico che sia, possono corrispondere scenari di torbidità atmosferica sensibilmente diversi. Maggiori approfondimenti sono tuttavia in corso per meglio determinare i rapporti di causa-effetto [26] [27].


4) Relazione tra i dati satellitari MODIS e i valori di particolato secco (PMx) misurati al suolo

In accordo con quanto descritto nei paragrafi precedenti, qualsiasi tentativo di stima dell’abbondanza del particolato atmosferico non può far conto sull’esame visivo. Le elaborazioni MODIS negli spettri di radianza utili a tal fine (lunghezze d’onda da 400 a 2100 nanometri), con tutti i limiti del caso (in primis la forte correlazione con l’umidità relativa illustrata nel terzo paragrafo), esprimono una valutazione degli aerosol atmosferici in termini di spessore ottico (AOD) calcolato su tutta la colonna atmosferica. Esiste quindi un problema di fondo: se non conosciamo in che modo sono distribuite le particelle nei vari livelli verticali della troposfera, come possiamo rendere conto delle condizioni di torbidità atmosferica in prossimità della superficie terrestre?

Sotto il profilo della qualità dell’aria che respiriamo quotidianamente, il dato che più interessa è quello a stretto contatto con il contesto in cui viviamo. Dal momento che le persone di solito non passano le proprie giornate volando in deltaplano, né camminano per strada provvisti di un boccaglio alto due chilometri, l’aria che prima di tutto ci preme analizzare è quella nei primi 2-300 metri da terra. Inoltre: l’AOD, essendo basato da misure di riflettività nelle lunghezze d’onda del visibile, è molto sensibile alla presenza di particelle con un diametro equivalente compreso tra 0.1 e 2 micrometri.
Un’abbondanza di aerosol composto da particelle di tali dimensioni medie può mascherare la presenza di particolato di altra natura nelle prime decine di metri dal suolo. Insomma: la relazione tra l’AOD rilevato da MODIS e i PMx alla superficie dipende dalle condizioni termo-igrometriche del momento, dalla stagionalità (energia solare), dalla morfologia del territorio, dal contesto (urbano/extraurbano), dalle proprietà chimico-fisiche del particolato e dalla sua distribuzione verticale. Va da sé che, in condizioni di stasi troposferica alto-pressoria, allorché i moti convettivi di bassa troposfera (rimescolamento) divengono pressoché nulli, l’opportunità di indagine si complica ulteriormente.
A rendere ancora più variabile il quadro d’esame per quanto riguarda la Pianura Padana si aggiungono i fenomeni di trasporto di aerosol remoto dai quadranti meridionali – ad esempio polveri sahariane o aerosol marini – che coinvolgono gli strati d’aria medio-alti (>2-3 km), laddove la protezione orografica è limitata alla catena alpina. Sotto campana anticiclonica, in assenza di precipitazioni, questi aerosol difficilmente vanno a rimescolarsi con lo strato limite planetario padano, restando di fatto confinati a quote superiori.

A tal proposito possiamo citare la sinottica meteo del 16 ottobre 2017, che ha visto un ex-uragano (Ophelia) raggiungere l’Irlanda dopo essere stato agganciato da un vasto fronte freddo nord-atlantico. Nel settore caldo (orientale) di questa circolazione depressionaria si è attivato un importante richiamo d’aria da sud-sud-ovest, che ha veicolato pulviscolo nord africano e fumi dei vasti incendi portoghesi su parte dell’Europa centro-occidentale. In questo specifico caso, da un’analisi delle traiettorie inverse, il contributo di particolato in direzione della Valpadana è stato relativamente basso: il Nord Italia era ai margini del fenomeno in quanto protetto da una figura anticiclonica in sede mediterranea. L’esempio, tuttavia, rende misura di quanto la torbidità atmosferica di medio-alta troposfera possieda un’intrinseca variabilità giornaliera in funzione della Circolazione Generale dei venti e dei fenomeni che avvengono su larga scala, a prescindere dalle condizioni locali in bassa troposfera, che presentano invece un’inerzia maggiore.



A corollario di quanto appena illustrato, riportiamo alcuni confronti tra il valor medio giornaliero di particolato secco PM2.5 campionato dalle centraline a terra (dati ARPA Lombardia) e lo spessore ottico rilevato sul Nord Italia in occasione dei transiti MODIS nei medesimi giorni. Abbiamo scelto il PM2.5 perché è quello che, studi alla mano [28] [29] [30] [31] [32] [33], meglio dovrebbe correlarsi con le misure strumentali dal satellite (ad ogni modo, per questo specifico confronto, anche impiegando i campionamenti ARPA PM10 si ottengono conclusioni analoghe). Iniziamo analizzando le situazioni del 09 e del 16 ottobre 2017:





E’ abbastanza evidente la difficoltà di correlazione tra il dato strumentale dal satellite (immagine a sinistra) e le condizioni effettive del PM2.5 campionato a terra (a destra). A fronte di una profondità ottica più alta nel giorno 09 ottobre, abbiamo campionamenti locali di PM2.5 a livelli bassi. Viceversa, la minore profondità ottica del 16 ottobre si accompagna a condizioni reali al suolo ben più critiche. Analizziamo ora il confronto relativo al giorno 18 ottobre 2017:



In questo caso l’AOD stimato è altissimo, prossimo al fondo scala. Una differenza così netta non trova pari riscontro nei dati delle centraline urbane, che si limitano a segnalare un moderato incremento delle misure medie nelle pianure e pedemontane lombarde occidentali. In questa elaborazione MODIS è interessante notare come le pianure torinesi siano state escluse dall’algoritmo di calcolo dell’AOD. L’eccessiva interferenza dell’umidità assorbita nell’aerosol padano ha portato l’algoritmo a rifiutare il dato di quell’area. Essendo le condizioni troposferiche in zona (forte stratificazione umida di sotto-saturazione tra 500 e 1500m slm) del tutto paragonabili a quelle delle circostanti pianure piemontesi e lombarde, è lecito domandarsi per quale principio, invece, il resto della quotazione numerica dell’AOD padano possa rappresentare un dato utile alla stima del particolato.
Lo stesso autore dell’algoritmo MAIAC (A. Lyapustin - NASA Goddard Space Flight Center) ha personalmente confermato le nostre perplessità a riguardo. Ad ogni modo, analizzando e confrontando qualche settimana di rilevazioni, è apparso chiaro che le dinamiche dei PMx urbani, specie in condizioni di scarsa mobilità di bassa troposfera, mostrano un andamento a sè stante, poco riconducibile nel tempo e nello spazio a quello che il satellite ci consente di apprezzare dall’alto.



I seguenti due quadri, in maniera simile all’immagine già mostrata nel paragrafo precedente, possono essere infine utili a evidenziare il fenomeno di “contaminazione” da umidità e nuvolosità di confine nella stima dell’AOD:





Allorché la Pianura Padana è coinvolta in un tipo di circolazione atmosferica che determina rientri d’umidità di medio-basso livello dai quadranti orientali, la problematica si infittisce.



Nonostante le condizioni di investigazione difficoltose a dir poco, l’impiego del telerilevamento satellitare a sostegno del monitoraggio della qualità dell’aria è certamente possibile, seppur necessiti di lunghe fasi di minuzioso studio del dominio sotto esame utile alla calibrazione specifica dei dati strumentali, nonché una continua validazione sulla base delle misure effettuate a terra [34] [35] [36] [37].



Gli esperimenti condotti fino ad oggi hanno dimostrato che è possibile ottenere correlazioni di lungo periodo abbastanza promettenti, mentre siamo ancora lontani da una performance attendibile nella singola osservazione, specie in mancanza di un valido supporto micro-climatico che chiarisca la risposta del territorio esaminato alle varie dinamiche atmosferiche [38] [39] [40] [41] [42] [43].




CONCLUSIONI

Da una mera valutazione “a vista" delle scene satellitari (es. MODIS, bands 1-4-3, true color) non è possibile trarre indicazioni attendibili sull’effettiva torbidità atmosferica; è anzi possibile ingannarsi. La stima dello spessore ottico dell’aerosol troposferico necessita sempre di una procedura strumentale. Sofisticati algoritmi sono tutt’ora in fase di perfezionamento, con l’obiettivo di filtrare al meglio i numerosi elementi di disturbo e compensare i fattori che inficiano un’ottimale lettura, in modo particolare quelli dipendenti dalle interazioni con il vapore acqueo. I soli dati acquisiti dallo spazio, specie quelli dei rilevatori MODIS che intercettano lo spessore dell’aerosol nell’intera colonna ignorandone la distribuzione verticale, non consentono – ad oggi – di investigare in modo sufficientemente completo la natura del particolato troposferico in esso contenuto. Simili difficoltà si incontrano nel tentativo di discriminarne le proprietà fisico-chimiche, fondamentali per ponderare il contributo antropico (cioè la presenza di “inquinanti” nell’accezione più popolare del termine).



Nonostante i recenti progressi, le rilevazioni da terra (es. rete AERONET, sensori Lidar, etc.) insieme ai campionamenti in situ giocano ancora un ruolo determinante per misurare quante particelle sono effettivamente presenti all’interno della massa di aerosol, a quali quote sono concentrate e soprattutto da quali sostanze sono composte. Se è vero che una situazione di opacità elevata all’osservazione MODIS (a prescindere dall’origine delle particelle) possa suggerire condizioni di analoga torbidità negli strati d’aria immediatamente adiacenti al suolo, nel singolo episodio la correlazione tra le stime dal satellite e le frazioni di particolato campionate dalle centraline a terra (PMx secco) può risultare bassa. Si tratta, insomma, di valutazioni da ponderare con prudenza, che presentano dipendenza dalle condizioni meteorologiche locali e che necessitano di una trattazione complessa, assolutamente fuori dalla portata di un’indagine visiva.




BREVE (MA SIGNIFICATIVA) APPENDICE

Impiegare un’immagine della Pianura Padana osservata dallo Spazio per discutere di tematiche ambientali è un’operazione quantomeno “azzardata” dal punto di vista della sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Forse si rischia di generare agitazione su un tema molto delicato. L’inquinamento atmosferico è un problema molto serio, che tutto avrebbe bisogno fuorché di essere approssimato a propaganda fotografica, veicolando peraltro il messaggio collaterale che a un’ottima visibilità ottica, con atmosfera apparentemente limpida, si accompagni una qualità dell’aria altrettanto positiva. L’inquinamento ai giorni nostri rappresenta un problema ostico da affrontare proprio perché, nella maggioranza dei casi, la sostanza inquinante è presente in concentrazioni potenzialmente dannose per la salute senza che ciò sia affatto percepibile. Nulla ci danneggia meglio di ciò che non vediamo. Ed è proprio per questa ragione che tendiamo a sottovalutarne l’importanza.

La contrapposizione tra verità ed apparenza è un tema sul quale l’umanità continua a scannarsi sin dai tempi più antichi. «Di tutte le cose è misura l’uomo», sosteneva Protagora. Partendo da questo assunto Platone introduce il problema del rapporto tra la conoscenza sensibile – ciò che i nostri sensi ci trasmettono – e quella intellegibile, basata sulla rappresentazione dei fenomeni tramite l’evidenza scientifica. Il buon Aristotele, consapevole che «non tutto quello che appare è vero», definisce il ruolo dello studioso della Natura come colui che, investigandola, costruisce modelli che rendano ragione di ciò che osserviamo. Questo compito ha due grandi limiti. Il primo è che qualsiasi analisi, anche la più diligente e rigorosa, può portare a conclusioni errate, contradditorie o comunque diverse da quelle di altre ricerche. Il secondo è che la scienza – citando il Genio romantico – è l’asintoto della Verità. Ci possiamo avvicinare, ma quello che cerchiamo si sposta un passo più in là. L’idea di una conoscenza assoluta e definitiva è la peggior menzogna dell’Universo.

In ultimo, desideriamo mostrarvi un dettaglio che ha raccolto la nostra attenzione in modo particolare. Uno tra i ricercatori della NASA interpellati per aiutarci nel presente studio (non citiamo il nome, ma parliamo di un curriculum da fare impallidire un premio Nobel) in calce alla propria firma e-mail ha le seguenti parole:



Questa frase, da sola, apre la mente più di ogni lezione.


Note bibliografiche:
  1. http://www.isac.cnr.it/cimone/aerosol_number_concentration
  2. https://earthobservatory.nasa.gov/Features/Aerosols
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