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7-8 Ottobre 2015: cella temporalesca stazionaria sul Basso Varesotto   Inserito il› 10/10/2015 1.52.41
Aggiornato il› 13/10/2015 12.07.51
Nella notte tra mercoledì 7 e giovedì 8 ottobre - dalle ore 23 alle ore 02 locali - la zona del Basso Varesotto è stata interessata da un evento temporalesco importante, con attività elettrica estremamente intensa, precipitazioni localmente abbondanti e grandine (seppur di piccole dimensioni).
Il sistema convettivo, a cella isolata rigenerante, ha presentato caratteri di marcata stazionarietà, insistendo sulle medesime aree per circa tre ore consecutive. La dinamica di questo episodio, molto particolare sia per genesi che per fenomenologia associata, è oggetto di analisi nel presente articolo. Nonostante si tratti di un caso particolarmente complesso, che una trattazione analitica - per quanto esaustiva - assai difficilmente può risolvere, cercheremo di inquadrare le condizioni che ne hanno favorito lo sviluppo.


ANALISI SINOTTICA

Per prima cosa è bene evidenziare che, nonostante si parli di un temporale, l’evento ha luogo in una situazione troposferica che, in Lombardia, si presenta apparentemente statica. Questo fattore complica l’analisi, in quanto le forzanti in gioco, a una prima osservazione, risultano poco evidenti. Per la stessa ragione, episodi simili rappresentano un rischio meteorologico importante, dal momento che si tende a sottovalutarne gli effetti per mero "disinteresse" previsionale.

Nel comparto europeo centro-occidentale si nota una moderata rimonta dell’Anticiclone delle Azzorre, proteso coi suoi massimi al suolo in direzione dell’Alta scandinava.



Risulta ben visibile l’effetto indotto dalla catena alpina, che, ostacolando l’afflusso d’aria da ovest in bassa troposfera, tende a preservare una massa d’aria più mite e umida in Valpadana, esaltando il gradiente di pressione tra il versante oltralpe e quello italiano.
Tale promontorio anticiclonico, tuttavia, trova debole riscontro in quota dal momento che, sull’Europa nord-occidentale (in particolare su Inghilterra e Francia), staziona da giorni aria fresca e instabile, frutto di ripetuti impulsi perturbati nord-atlantici. Alle medio-basse latitudini è attivo un discreto flusso zonale (westerlies), con una blanda ondulazione disposta lungo i paralleli e corrente a getto che taglia a metà il Mediterraneo.



Il Nord Italia, alle ore 00 UTC di giovedì 8 ottobre, viene interessato dal transito di una linea di discontinuità in medio-alta troposfera. A un’attenta osservazione del campo termo-igrometrico a 500hPa, non sfuggirà la presenza di un’avvezione frontale fredda e secca in quota, tra l’altro palesata dal minimo relativo di -18/-19°C. Meteorologicamente parlando si tratta di una situazione “subdola”, in quanto è una massa d’aria potenzialmente in grado di incanalare instabilità in mezzo a un tessuto anticiclonico, in modo subordinato all’energia disponibile in bassa troposfera. La seguente rianalisi (GFS) illustra nel dettaglio la situazione:



E’ ben visibile uno stretto cavo d’onda in transito sulle Alpi, responsabile di una blanda avvezione di vorticità positiva sulla Lombardia nord-occidentale. In realtà va chiarito un concetto molto importante: la ventilazione in quota sull’Italia settentrionale è nel complesso molto debole (se non quasi nulla). Il picco di vorticità e divergenza su lato  avanzante (ascendente) del cavetto d’onda risulta essere un fenomeno del tutto locale, che trova ragion d’essere nella curvatura estremamente pronunciata delle correnti in medio-alta troposfera. L’animazione che segue – che ben inteso non è una rianalisi bensì l’output t+6h del modello matematico AROME (RUN 7ott/18Z) – ben evidenzia la circolazione strettissima a 300hPa, con massima divergenza proprio al confine settentrionale tra Piemonte e Lombardia:



Quella appena descritta è la condizione dinamica d’alta troposfera che risponde alla domanda: “perché la cumulogenesi più intensa si è strutturata in modo isolato specialmente lì e non altrove?”
Passiamo ora ad analizzare la situazione nei livelli atmosferici più prossimi al suolo. E’ noto che la Valpadana, circondata da catene montuose su tre quadranti, si comporta come un enorme “catino” in grado di trattenere e quindi preservare una massa d’aria mite e umida nei bassi strati. L’alba di mercoledì 7 ottobre è stata la prima occasione stagionale per osservare nebbie basse compatte su buona parte del Piemonte e delle province lombarde occidentali. La radiazione solare ne ha consentito un graduale dissolvimento nelle ore centrali della giornata, come possiamo apprezzare grazie all’animazione satellitare (Sat24, canale visibile, ore 7-14 locali):



I dati misurati dalle nostre centraline evidenziano diffuse condizioni d’elevata igrometria, con temperature massime in rialzo fino a 22/24°C in pianura e punto di rugiada prossimi ai 16/17°C. E’ importante sottolineare come questa massa d’aria mite e molto umida non si limiti ai primissimi strati di fondovalle, ma sia ben presente anche a quote superiori. A titolo indicativo riportiamo gli estremi registrati alle ore 15 in alcune stazioni prealpine occidentali (Temp/%UR/DewPoint):

  • Grigna Settentrionale Vetta (2401m slm): 9.5°C / 83% / 6.8°C
  • Piani Resinelli (1235m slm): 15.7°C / 80% / 12.3°C
  • Passo Valcava (1337m slm): 12.7°C / 98% / 12.4°C
  • Colma di Sormano (1123m slm): 17.2°C / 89% / 15.4°C
  • Brunate S.Maurizio (870m slm): 16.4°C / 85% / 13.9°C
  • Casasco d’Intelvi (822 m slm): 17.7°C / 73% / 12.8°C
  • Monte Lema (1586m slm): 14.9°C / 70% / 9.5°C

Valori simili sono abbastanza notevoli a quelle quote nella prima decade di ottobre. Il radiosondaggio di Milano Linate ore 12Z conferma tale setup in libera atmosfera, mostrando nei primi 900m uno strato d’aria quasi satura con punto di rugiada di 10/12°C.
Desideriamo porre l’attenzione sulle condizioni registrate dalla centralina di Chiavenna (SO), presso la quale alle ore 15:15 si sono raggiunti i 26°C con umidità relativa pari al 36% (Föhn moderato). Questo particolare, apparentemente fuori contesto, è tuttavia fondamentale in quanto palesa la presenza di una massa d’aria più fresca e più secca addossata al versante oltralpino. In altre parole, anche se non avessimo a disposizione le analisi modellistiche e le osservazioni satellitari, si tratterebbe di un campanello d’allarme che avvisa del possibile imminente ingresso di correnti favoniche dai quadranti nord-occidentali.

Il transito di una massa d’aria post-frontale proveniente dai quadranti nord-occidentali, episodio relativamente frequente sull’Italia settentrionale, va spesso ad originare una transitoria linea di instabilità in corrispondenza dell’interfaccia (dry-line) che separa la stessa massa d’aria in avvezione (secca, di caduta dalle Alpi) da quella preesistente (umida, di richiamo dalle pianure orientali). Sotto il profilo strettamente idraulico osserviamo due flussi distinti che convergono, ossia cercano di impegnare gli stessi spazi nello stesso momento. Questo eccesso di massa in bassa troposfera ha come risultato immediato l’attivazione di forti moti verticali. Tanto più è netta la differenza termo-igrometrica tra queste due masse d’aria, tanto maggiore è la possibilità che si sviluppino sistemi convettivi intensi laddove esse vanno a convergere. Nel semestre estivo, questi contrasti hanno tipicamente luogo nella porzione di territorio alto-padano compresa tra la valle del Ticino e la valle dell’Adda.



Il posizionamento esatto della convergenza è la risultante tra il “gioco di forze” dei due flussi concorrenti. Se la spinta dinamica da nord-ovest è predominante sul richiamo sud-orientale, le celle temporalesche tenderanno presto ad impegnare le basse pianure della Lombardia. Se il flusso atlantico presenta invece zonalità più debole, ossia indugia sulla catena alpina, avremo più probabilmente temporali addossati sulle pedemontane nord-occidentali. Il caso che stiamo esaminando rientra in questa seconda ipotesi.
Nella seconda metà del pomeriggio, infatti, l’approssimarsi del cavo d’onda alle Alpi occidentali ha iniziato ad attivare un richiamo orientale in bassa troposfera. La situazione è stata ben monitorata anche dalla nostra stessa rete di stazioni, che ha indicato un rinforzo importante dei venti al suolo, localizzandone la massima attività su Lecchese, Milanese, Comasco e Varesotto (istantanea delle ore 17:30 locali):



A seguire, il richiamo da Est-SudEst ha iniziato a strutturarsi fino alle quote isobariche di 925/850 hPa (circa 750/1500m slm) ed è proseguito pressoché costante fino a notte inoltrata, con venti sostenuti di circa 50 km/h a 925hPa. Immediata conseguenza di questa dinamica è stato l’accumulo progressivo d’aria umida e instabile verso l’area prealpina e pedemontana ovest-lombarda (Verbano, Lario). La mappa allegata mostra la situazione attesa a 925hPa dal modello matematico WRF/ECMWF (RUN 7ott/12Z) per le ore 1:00 locali, ossia nel “clou” dell’attività convettiva sul basso Varesotto:



E’ facile individuare la possibile linea di convergenza proposta dal modello, a margine sinistro dell’area ad alta umidità relativa. L’accumulo locale di energia potenziale per la convezione è ben evidenziato da quest’altra mappa, che riporta la “quantità totale di acqua precipitabile” presente nella colonna atmosferica:



Per chiarire il senso di tale parametro con un esempio, immaginate di far condensare in pioggia tutto il vapore acqueo presente sulla vostra testa, dal suolo fino alla tropopausa: agli effetti è un modo per stimare quanto calore latente di condensazione potrebbe essere “sfruttato” da un eventuale moto convettivo. Notevole (direi quasi sbalorditivo!) il fatto che il modello abbia posizionato il picco di PWAT quasi nel punto preciso in cui è andata poi a svilupparsi la torre temporalesca principale.
Quella appena descritta è la condizione dinamica di bassa troposfera che risponde alla domanda: “perché la cumulogenesi più intensa e persistente ha avuto luogo proprio lì e non altrove?”

Se andiamo a combinare queste ultime considerazioni con quelle illustrate in precedenza circa la dinamica in quota, avremo abbastanza chiari i presupposti che hanno favorito la genesi di quel sistema temporalesco sul basso Varesotto.

Trattandosi di convezione e quindi di un fenomeno a sviluppo verticale per definizione, diamo infine uno sguardo al radiosondaggio di Milano Linate delle ore 00Z, purtroppo un po’ troppo distante dalla zona di nostro interesse (un RS a Malpensa sarebbe stato perfetto!) ma comunque utile per una valutazione di massima circa la stabilità atmosferica:





La radiosonda, lanciata alle 00:45 locali ossia nel pieno dell’attività della cella varesina, ha misurato 14.2°C quasi saturi (97% UR) a 925hPa e -17.9°C secchissimi (14% UR) a 500hPa, per un gradiente termico medio pari a 0.66°C/100m senza inversioni importanti. E’ uno scenario più che sufficiente a sostenere convezione profonda, qualora essa venga innescata.
La prima cosa che salta all’occhio è, come atteso, l’importante avvezione d’aria secca in quota: l’umidità relativa crolla improvvisamente da circa 4200 metri slm a salire. Quest’altezza, tutt’altro che casuale, rappresenta in prima approssimazione il livello medio della catena alpina occidentale: le masse d’aria in transito a quote inferiori vengono letteralmente sbarrate da questa gigantesca muraglia naturale. Il radiosondaggio della stazione svizzera di Payerne, infatti, ci mostra come lo strato secco oltralpe abbia limite inferiore più basso (circa 2700m).
Questa particolare circostanza, ossia la presenza di una discontinuità termo-igrometrica netta in prossimità della superficie isobarica di 600hPa, è un fattore che tende ad esaltare i processi convettivi, in quanto comporta una retroazione positiva. Da un lato il forte gradiente locale di densità – l’aria secca è più pesante – consente una spinta dinamica più importante (per galleggiamento), dall’altro la rapida accelerazione locale delle velocità verticali amplifica a sua volta le correnti ascensionali (inflow) per necessità di compensazione dal basso del difetto di massa.
La seconda cosa evidente è la presenza di una discreta quantità di energia potenziale (CAPE, evidenziata il rosso) anche sulla verticale di Milano, il che significa – in considerazione dell’analisi di bassa troposfera sopra esposta – una condizione ancora più favorevole in zona Varese. La presenza di un’apprezzabile inibizione (CIN, evidenziata in verde) è tuttavia garanzia del fatto che in pianura non vi sono le condizioni per la cumulogenesi: per vincere la resistenza alla libera convezione è necessaria una forzante d’innesco di natura orografico-dinamica.
In ultimo – ma non in ordine d’importanza – si noti la ventilazione molto debole su buona parte dei livelli di media ed alta troposfera, con eccezione della quota prossima alla tropopausa (“anvil level”) in cui i moti convettivi s’arrestano. Questo scenario è particolarmente insidioso, in quanto garantisce la quasi-stazionarietà del cumulonembo pur evitando un’eccessiva interferenza tra il flusso ascendente (updraft) e discendente (downdraft). In questa delicata condizione d’equilibrio, la macchina termica della convezione può lavorare indisturbata finché è disponibile “carburante” (il vapore acqueo da condensare). Il risultato è presto detto: tanta pioggia, per tanto tempo, sopra la medesima ristretta porzione di territorio.


ANALISI OSSERVATIVA

Dopo aver cercato di metter luce sui meccanismi fisici che hanno orchestrato questo evento temporalesco, passiamo ora ad analizzarlo visivamente.
Essendo l’episodio occorso nelle ore notturne, non abbiamo purtroppo a disposizione riprese satellitari nel canale visibile: dobbiamo accontentarci delle scansioni a minor risoluzione in banda infrarossa. Quella che segue è l’evoluzione, a passi di 5 minuti, osservata dalle ore 20 alle ore 5 locali (Sat24):



Si può notare come un paio di focolai temporaleschi (rispettivamente sul medio-alto Lario e sul Verbano), già attivi dalle prime ore della sera, palesino le condizioni di instabilità nell’estremo nord-ovest della nostra regione. Si tratta dei primi effetti dell’aria più fredda e secca in arrivo da oltralpe. Prestate attenzione alla torre temporalesca che nasce sul basso Varesotto, con innesco alle ore 23:10 locali (21:10 UTC). Nella prima ora di attività la spinta convettiva, seppur raggiunga già la tropopausa, appare leggermente “frenata”, tant’è che l’incudine risulta modesta in estensione. A seguire, dalle 00:10 locali (22:00 UTC), il sistema mostra una seconda pulsazione, più vigorosa, segno evidente di un’intensificazione della corrente ascendente (updraft). Questo è anche il momento in cui la struttura inizia a generare grandine, seppur di modeste dimensioni (<1cm). Dalle ore 02:00 locali (00:00 UTC) la cella inizia lentamente a collassare, in quanto entra nella fase in cui il flusso in uscita della stessa cella (outflow), ossia l’aria che si propaga verso l'esterno a seguito del processo di condensazione, tende a “invadere” il territorio occupato dalle correnti ascensionali (inflow). Nel giro di un paio d’ore il sistema principale va a completa dissipazione, mentre prendono vita due piccole celle secondarie verso sud-est, probabilmente attivate dalle stesse correnti di outflow sul fronte avanzante del temporale.

L’aria secca – è noto – è abbastanza difficile da osservare visivamente, in quanto trasparente. Per studiare la dinamica in quota su scala più ampia ci viene in aiuto la scansione satellitare nel canale del medio infrarosso (5.35 - 7.15 µm), particolarmente sensibile al vapore acqueo. Maggiore è l'umidità presente, più la massa d'aria appare bianca. Viceversa, le zone scure indicano presenza d'aria più secca. Presentiamo un’animazione di 24 ore, a passi di 3 ore (dalle 12 UTC del 7 ottobre alle 12 UTC del giorno 8), che consente di apprezzare visivamente l’evolversi delle masse d’aria nel comparto europeo:



Il cavo d’onda post-frontale, in avvicinamento alle Alpi, risulta ben riconoscibile in queste immagini. Anzi, è addirittura possibile intuire l’effetto di sbarramento indotto dalla catena montuosa sul flusso zonale più umido a bassa quota, nonché la circolazione ciclonica sul bordo avanzante della linea di instabilità, esattamente laddove si innesca la cumulogenesi.

Andiamo ora ad analizzare le scansioni radar delle idrometeore (pioggia, grandine) prodotte dall’attività temporalesca:



L’echo radar conferma nella sostanza quanto già intuito nell’animazione satellitare, ossia il sistema, in apparenza a singolo updraft rigenerante, si è evoluto in realtà in due macro-fasi. La prima fase, del tutto “inflow dominated” con torre estremamente stazionaria, ha interessato l’area comunale di Besnate. La seconda fase, con updraft più intenso ma flussi di inflow e outflow più “disturbati”, ha visto il sistema oscillare ripetutamente verso sud e poi verso est, coinvolgendo prima il comune di Somma Lombardo e l’aeroporto di Milano Malpensa, per poi declinare in direzione Samarate e Gallarate. A seguire, attorno alle ore 2 locali, l’interferenza dell’outflow è divenuta dominante e il sistema temporalesco ha iniziato a derivare con più decisione verso SudEst, con evidente riduzione dell’apporto precipitativo e successivo collasso dell’updraft principale.

La mappa che segue, elaborata sovrapponendo su Google Maps il progressivo delle scansioni radar senza pretesa di precisione, è un tentativo di evidenziare la porzione di territorio interessata dalle precipitazioni più intense e abbondanti:



A chi ha vissuto l’evento di persona non sarà sfuggito un particolare: l’incredibile attività elettrica associata alla cella temporalesca. Il numero di fulminazioni registrate è stato davvero notevole: parliamo di migliaia di scariche in poche ore, la maggioranza delle quali concentrate su un’area estesa non più di una ventina di km quadrati. La carta allegata, tratta dalla rete fulminometrica “Blitzortung” (alla quale il CML partecipa con n.5 rilevatori operativi), rende conto delle scariche intercettate dalle ore 22 alle ore 04 locali nelle aree maggiormente interessate dai fenomeni:



In particolar modo nella fascia oraria dalle 00 alle 02 locali, il cielo sopra il Varesotto meridionale ha lampeggiato senza soluzione di continuità.
Non è affatto semplice motivare la genesi di un’attività ceraunica così importante. E’ possibile (Teoria di Simpson) che un updraft particolarmente isolato e molto denso d’umidità condensata (gocce in caduta cariche negativamente), unito a una modesta ventilazione a livello dell’incudine (sede d’accumulo progressivo di cariche positive), possa rappresentare uno scenario molto favorevole al mantenimento di un'elevata differenza di potenziale tra base e sommità del cumulonembo. E’ inoltre possibile che una struttura temporalesca stazionaria, quindi ad asse esattamente verticale, favorisca una disposizione delle cariche elettrostatiche spazialmente più vantaggiosa, ad esempio, rispetto a una cella con asse obliquo. Bisogna infine considerare che l’aria molto secca in quota, nella quale è “immersa” la cella temporalesca, possiede una rigidità dielettrica molto superiore all’aria umida, il che potrebbe forse suggerire qualche ruolo in merito, ad esempio nel limitare l’eventuale dispersione di cariche positive (la cella risulta elettricamente “isolata” nel sistema atmosfera in cui è inserita).

In conclusione diamo un breve sguardo agli accumuli pluviometrici registrati dalla nostra Rete di stazioni meteo. Benché la densità di pluviometri nell’area interessata sia abbastanza alta, l’evento è stato talmente localizzato da rendere difficile la stima corretta della distribuzione della pioggia al suolo:



Un dato certo è che, localmente (ad esempio presso Besnate), si sono superati i 100mm totali, accumulati in circa 90 minuti. Dati di altre reti (ARPA) confermano quantità analoghe in zona Somma Lombardo. La notevole intensità oraria delle precipitazioni è evidente nelle registrazioni della nostra stazione di San Macario di Samarate (VA), che ha misurato circa 60mm in un’ora, dei quali 25 caduti in soli dieci minuti (in buona parte sotto forma di grandine):



A corollario è interessante osservare il transitorio calo igrometrico appena prima dell’arrivo delle precipitazioni (rotazione dei venti da Nord-Ovest, aria più secca sul fronte avanzante del temporale), nonché il crollo termico per rovesciamento forzato d’aria fredda al suolo. Molto significativo il fatto che all’avvezione secca in quota non faccia seguito alcun ingresso di correnti secche al suolo, anzi: l’aria resta in saturazione anche nelle ore successive al temporale, stante il persistere dell’afflusso umido orientale. Ciò dimostra che, ai fini della nascita e dell’esaurimento della convezione, è proprio la dinamica in quota a rappresentare la forzante prevalente, mentre la massa d’aria nei bassi strati mantiene sostanzialmente inalterato il proprio profilo termo-igrometrico. L’andamento della pressione atmosferica al suolo, pressoché stazionaria, ne è ulteriore conferma.

Concludiamo mostrandovi alcune fotografie a testimonianza dell’evento. In questo scatto, ripreso da Davide Sironi in località San Macario di Samarate (VA), è possibile osservare il sistema temporalesco nella sua porzione avanzante. L'illuminazione naturale offerta dalle fulminazioni pressoché ininterrotte consente di apprezzare Shelf Cloud e Whale's Mouth (nube “a mensola” e nube a “bocca di balena”), insieme a un piccolo vortice (funnel cloud?).



Seguono un paio di fotografie (fonte: varesenews.it) che mostrano il consistente accumulo di grandine al suolo presso lo scalo aeroportuale di Milano Malpensa, con i mucchi di ghiaccio che si sono conservati per buona parte della mattina seguente.



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